lunedì 25 febbraio 2013

85° Academy Award

Buongiorno lettori
Oggi dedicherò questo post alla 85° edizione della cerimonia degli Oscar che si è tenuta al Dolby Theatre di Los Angeles questa notte. A condurre la serata è stato il comico Seth MacFarlane. Dopo una nottata intera rimasta sveglia per seguire la cerimonia, assonnata sì ma davvero felice ed entusiasta, oggi voglio condividere con voi i vincitori delle statuette. Una serata ricca di sorprese e "intrattenimenti". Durante la celebrazione, tra una categoria e un'altra si sono i protagonisti de Les Misérables con un medley di alcune delle più belle canzoni del musical, Adele con la canzone Skyfall, Jennifer Hudson e Catherine Zeta-Jones in alcuni medley da Dreamgirls e Chicago, Shirley Bassey con Goldfinger e Barbra Streisand con The Way We Were. Tra i presentatori dei premi delle varie categorie appaiono anche: Jennifer Aniston e Channing Tatum che presentano i migliori costumi, Kerry Washington e Jamie Foxx annunciano il miglior film corto, Sandra Bullock per annunciare il miglior montaggio, Daniel Radcliffe e Kristen Stewart presentano il miglior design (scenografia), Dustin Hoffman e Charlize Theron presentano la miglior sceneggiatura originale e non, Jane Fonda e Michael Douglas per la miglior regia. Il miglior film viene annunciate dall'inedita coppia Jack Nicholson e niente meno che la First Lady Michelle Obama, in diretta dalla Casa Bianca.




Miglior film: "Argo" di Ben Affleck



Migliore attrice protagonista: Jennifer Lawrence per "Il lato positivo"



Miglior attore protagonista: Daniel Day-Lewis per "Lincoln"




Migliore attrice non protagonista: Anne Hathaway per "Les Misèrables"



Migliore attore non protagonista: Christoph Waltz per "Django Unchained"




Miglior regista: Ang Lee per "Vita di Pi"


Migliore sceneggiatura originale: Quentin Tarantino per "Django Unchained"



Migliore sceneggiatura non originale: Chris Terrio per "Argo"


Miglior fotografia: Claudio Miranda (Vita di Pi)


Migliori effetti speciali: Bill Westenhofer, Guillaume Rocheron, Erik-Jan De Boer e Donald R. Elliott (Vita di Pi)


Migliori costumi: Jacqueline Durran (Anna Karenina )


Miglior montaggio: William Goldenberg (Argo)


Miglior sonoro: Andy Nelson, Mark Paterson e Simon Hayes (Les Misérables)


Miglior montaggio sonoro: Per Hallberg e Karen Baker Landers (Skyfall) e Paul N.J. Ottosson (Zero Dark Thirty)


Migliori trucco e acconciatura: Lisa Westcott e Julie Dartnell (Les Misérables)


Migliore colonna sonora: Mychael Danna (Vita di Pi)


Miglior canzone originale: Adele Adkins e Paul Epworth (Skyfall)


Miglior scenografia: Rick Carter e Jim Erickson (Lincoln)

Miglior film in lingua straniera: Amour (Austria)

Miglior film d'animazione: Ribelle - The Brave di Mark Andrews e Brenda Chapman
Miglior cortometraggio: Curfew di Shawn Christensen
Miglior cortometraggio animato: Paperman di John Kahrs
Migliore documentario: Searching for Sugar Man di Malik Bendjelloul e Simon Chinn
Migliore cortometraggio documentario: Inocente di Sean Fine e Andrea Nix Fine

mercoledì 20 febbraio 2013

Recensione "Il canto della Rivolta" - Suzanne Collins

'Che i giochi abbiano fine'.

E’ giunto il momento. La battaglia finale sta finalmente per avere inizio. Katniss Everdeen è riuscita a sopravvivere per la seconda volta agli Hunger Games. E al suo ritorno assisterà a delle rivelazioni importanti. Il Distretto 13 esiste ancora. Peeta è tenuto prigioniero da Capitol City. Plutarch Heavensbee con la collaborazione di Haymitch si fa ideatore di una rivolta per eliminare il presidente Snow; ed hanno bisogno della loro Ghiandaia Imitatrice per farlo. Katniss Everdeen. La ragazza di fuoco. E’ lei la ghiandaia imitatrice, colei che riuscirà a riunire tutti i Distretti nella lotta contro Capitol City e contro il presidente Snow. Ma la battaglia si preannuncia più dura del previsto e per Katniss non sarà facile portare a terminare la sua missione. Ci saranno numerose perdite. Molti amici e conoscenti perderanno la vita. Ma ne varrà la pena di sacrificarsi per la libertà.

Esistono libri che riescono a farti dimenticare chi sei veramente, libri in grado di risucchiarti in un mondo da cui non vorresti mai uscire, libri che ti sprofondano nel cuore scavandosi un posto tutto per loro. Si crea un forte legame con l’ambientazione, con ogni personaggio che ne popola le pagine, nessuna esclusione. E l’intera saga di Hunger Games ne è un esempio. ‘Il canto della rivolta’ è l’ultimo capitolo di questa saga eccellente che è stata in grado di sconvolgermi come nessun altro libro aveva fatto. Ed essendo il grande finale, le aspettative sono alte e difficili da colmare. Ma la Collins riesce brillantemente in questo intento. Il titolo dice tutto eppure non può descrivere l’intensità che si cela dietro le pagine di questo straziante epilogo dell’avventura di Katniss Everdeen e dei suoi compagni. Dopo la scintilla esplosa ne ‘La ragazza di Fuoco’, la rivolta arriva come qualcosa di inatteso, ma fortemente desiderato e la ragazza in fiamme ne diventerà il volto.
Confusa, terribilmente lontana da Peeta, che è stato catturato dalle forze di Capitol City, Katniss deve ricomporre sé stessa dopo essere andata in pezzi negli ultimi Giochi e accettare il nuovo destino che l’attende.
Sembra che l’unica strada per lei sia quella di diventare la Ghiandaia Imitatrice che canterà la rivolta in tutta Panem grazie a una strategica propaganda ideata dai Ribelli. Solo così sarà possibile unire i rivoluzionari in un unico movimento e un unico ideale: riconquistare la libertà ponendo fine al potere di Capitol City.
Ma la libertà ha un prezzo davvero molto alto che richiede il sangue e le lacrime degli innocenti burattini che Capitol City è riuscita a piegare al proprio volere. E nemmeno la Ghiandaia Imitatrice, che sente sempre di più di essere in trappola, può restare indifferente all'incessante urlo di dolore che la guerra porta con sé.
I costanti colpi di scena e ribaltamenti non solo mettono alla prova la stabilità mentale dei protagonisti e dei lettori, ma rendono impossibile comprendere di chi sia giusto o sbagliato fidarsi.
Così mentre Gale abbraccia la lotta con innata fermezza e Peeta sembra andare in pezzi, e di sicuro manda in pezzi il cuore dei lettori, a causa delle torture del Presidente Snow, Katniss deve affrontare le conseguenze delle proprie scelte, cercando di non farsi divorare da esse.
In questo libro come non mai, Katniss sarà preda della propria impulsività e dei propri sentimenti, compromessi dall'atroce e sadico gioco messo in atto dal Presidente Snow per distruggerla. Un gioco fatto di perdita e morte, di tortura e spettacolarizzazione della sofferenza delle persone a lei più care, un gioco a cui, lo ammetto, io avrei perso.
Quella che infuria dentro ‘Il canto della rivolta’ è una lotta epica e cruenta, che la Collins ha saputo narrare con innata credibilità, contrapponendo scenari sanguinari al classico senso dello spettacolo di Capitol City. Non sono solo i fucili e gli archi a sparare, ma anche i media che inscenano uno show degno degli Hunger Games in cui, ancora una volta, Katniss si troverà invischiata.

Originale, emozionante, commovente, cruda, violenta e macabra. Come i due capitoli precedenti della saga, ‘Il canto della rivolta’ scorre velocemente, non annoia mai, concordo con King nel ribadire che da assuefazione. Ci tengo particolarmente a fare gli ultimi complimenti all'autrice. Non era facile essere originali nel presentare un futuro postmoderno e post apocalittico, ma Suzanne Collins ha puntato lo sguardo su qualcosa di nuovo: i reality show,il parassitismo mediatico, la morbosità della televisione.
E invece di fare della critica intellettuale, la esalta e ne mette a nudo tutta la violenza, il sangue e l'aggressività. La spoglia e ne mostra il ghigno più crudo, senza mai indulgere nella autocommiserazione. Ma nello stesso tempo non è la violenza che trionfa, nè l'eroismo di Katniss né di chiunque altro. Katniss non guida totalmente la rivolta, nè è solo una pedina. Il Distretto 13 non si rivela il luogo di pace e libertà tanto desiderato, e la presidente Coin forse potrebbe essere un tiranno peggiore di chi l'ha preceduta… e probabilmente non sapremo mai la verità su Prim.
Ed è così che alla fine sono solo Katniss e Peeta a vincere. Più di tutto Peeta, che viene devastato,depistato, annientato nella sua bontà per poi cercarsi e ritrovarsi. E' la sua bontà che salva, che riscalda un finale triste e sconsolato. E’ il suo amore che purifica, la speranza che lui possa riscattare i sotterfugi e il doppio gioco in cui tutti sembrano invischiati.
Solo su di lui non cade tutto questo fango, questa bassezza, questa vergogna. Solo lui si estranea da tutta questa violenza. E’ rinascita, non distruzione.

'Quello di cui ho bisogno per sopravvivere non è il fuoco, acceso di odio e di rabbia. Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua, per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella'.

Per concludere, credo che ‘Il canto della rivolta’ sia il finale perfetto per una saga che si è sempre distinta per il semplice fatto di non condividere la tradizione fantasy di altri suoi predecessori dove il cerchio si chiudeva in un bel lieto fine speranzoso e ricco di buoni sentimenti. Al contrario la Collins non mente e, nonostante la battaglia contro Capitol City si concluda con un'importante vittoria, la focalizzazione si sofferma sui dolori e le conseguenze che i combattenti hanno subito e che si porteranno dietro per il resto della loro vita perché dopo essere stati così fortemente a contatto con il Male, non c'è più speranza di salvezza per loro. Pensandoci ora, non riesco ad immaginare una conclusione migliore per questo viaggio che è Hunger Games e l'autrice si dimostra fino alla fine una narratrice in grado di sorprendere, esaltare, commuovere, spaventare, far riflettere e, sopratutto, far soffrire il lettore creando un ultimo capitolo a cui posso attribuire un solo aggettivo: straziante. Straziante perché vero, straziante perché doloroso e, contemporaneamente, bellissimo. Sembrerà stupido da parte mia, ma adesso, ogni volta che sfioro le copertine di questi tre volumi mi sento pervadere da un'angoscia talmente forte da far salire le lacrime agli occhi e, insieme a questa angoscia, arriva una triste malinconia per quel mondo così vicino al nostro, per tutti quei personaggi tanto reali da riuscire a rispecchiare le diverse sfaccettature dell'animo umano, per la grandiosa Katniss con cui mi è sembrato di condividere esperienze, paure, dubbi, gioie e dolori e che durante quest'ultimo anno, nella sua essenza di carta e inchiostro, ho sentito più vicina di tante altre persone reali.
Mi mancherà questa saga e mi mancheranno Haymitch, Peeta, Gale, Finnick, Cinna, Rue, Prim e la mitica Effie. Mi mancheranno tutti loro, tutti i miei ribelli. La Collins è riuscita a regalarci una storia che può parlare di tutti noi, una storia che parla di ribellione, amore e libertà.

Grazie per ‘la vita’ che mi hai regalato.
Grazie per le atroci avventure.
Grazie per Panem.
Grazie per la Ghiandaia Imitatrici e ciò che rappresenta.
Grazie per Cinna e grazie per tutti i suoi costumi che ‘mi hai permesso di indossare’.
Grazie per Effie
Grazie per Finnick.
Grazie per Rue.
Grazie per Haymitch.
Grazie per Gale.
Grazie per Peeta.
Grazie per Peeta e ancora grazie per Peeta.
Grazie per Katniss.
Grazie per gli Hunger Games.

Grazie Suzanne Collins.

5/5

Recensione "Le fiabe di Beda il Bardo"- J.K. Rowling

J.K.Rowling è riuscita a creare un universo alternativo di cui tutti ignoravano l’esistenza: l’universo della Magia. Chi ha detto che la magia non esiste? La Rowling ce ne dà una prova tangibile con tutti i suoi scritti dove “cala” letteralmente il lettore in un universo di cui si è sempre e soltanto sognato l’esistenza, ma di cui nessuno ne ha mai avuto la prova. Ecco, ne ho trovata un’altra! La saga di Harry Potter rappresenta già di per se la vita che tutti gli amanti lettori delle avventure del maghetto occhialuto e con la cicatrice a forma di saetta hanno vissuto, i luoghi in cui tutto sono stati e gli esseri magici e babbani che tutti hanno conosciuto, ma quest’ulteriore volume definisce ancor meglio, medianti aneddoti, storie di grandi maghi del passato ed esempi di virtù ed etica, quest’universo per certi versi ancora ignoto e inesplorato. Mediante cinque brevi favole, diverse dalla nostra Cenerentola, Pinocchio e Biancaneve ma sempre e comunque cariche di insegnamenti e buoni esempi, ci ritroviamo a studiare la storia, non più con personaggi quali Napoleone Bonaparte o Luigi XIV, ma la storia di maghi che si affrontavano prima dell’istituzione del Ministero della Magia, quando ancora non era vietato farsi sorprendere dai babbani nell’atto di compiere magie, quando le Arti Oscure non erano state ancora considerate proibite, quando ancora i maghi facevano sfoggio della Maledizione Imperio, Cruciatus e Avada Kedavra, le maledizioni senza perdono. E mi ritrovo a credere realmente di studiare la storia dei miei avi in un mondo che è il mio, nel quale sono nata e cresciuta anch’io e nel quale anch’io posseggo poteri magici. E soprattutto da queste storie traiamo utili insegnamenti al pari di qualunque altra classica fiaba: vediamo maghi che si spendono per aiutare gli altri anche a costo di sacrificare se stessi, o maghi che imparano che la forza per affrontare le difficoltà proviene da dentro di noi e non da un miracolo esterno o vediamo anche come sia impossibile ingannare la morte quando ella ci chiama al suo cospetto. 
Al termine di ogni favole segue il commento di Albus Percival Wulfric Brian Silente il nostro caro preside di Hogwarts che ci rammenta (nel caso ce ne fossimo scordati, anche se impossibile) di trovarci in quell’ambiente che ormai dovrebbe esserci familiare, che portiamo dentro come una parte di noi, e ci chiarisce, nel caso i 7 libri della saga non fossero bastati, le loro regole, i vari dissapori, le loro leggi e tutto ciò che riguarda il mondo potteriano.
Un libro che, anche se letto quando non si ha più 7 anni, riporta a quell’atmosfera quando la mamma ti leggeva le favole prima di andare al letto e prima del bacio della buonanotte… Un libro pensato per bambini, certo ma nel rispetto dei contenuti educativi rivolti anche a un pubblico più adulto, che sia babbano o meno. Scorrevole, per nulla impegnativo, occupa solo poche ore del tempo ricompensandoti però di secoli di vicende, dettagli e caratteristiche (come ho già detto) che hanno caratterizzato la nostra amata CASA e che non possiamo evitare di conoscere o non ci sentiremo davvero parte di essa.

3/5

Recensione "Lo spacciatore di carne" - Giuliano Sangiorgi

Edoardo è un giovane salentino, figlio di un macellaio, in trasferta a Bologna per frequentare l’Università. Durante un viaggio in treno conosce e s’innamora follemente di Stella. La ragazza prima lo avvia all’uso di ogni tipo di droga poi lo tradisce con il suo coinquilino e lo lascia. Ormai dipendente dalle pasticche colorate che lo trasportano in mondi spesso popolati dai ricordi d’infanzia nel mattatoio di famiglia, rinchiuso in uno mondo di solitudine e sciatteria, Edoardo trova nella carne che il padre gli manda da Sud una fonte per procurarsi la droga e finirà in una spirale di allucinazioni che lo farà precipitare nel baratro della follia.

Trentatrè anni, una carriera luminosa ed una voce da brivido, Giuliano Sangiorgi si cimenta per la prima volta nella stesura di un romanzo, che cela all’interno delle sue pagine pura e semplice poesia, un rimando ai suoi testi musicali. Sangiorgi ha il dono di comunicare anche in assenza di suoi. Qui la musica non c’è e il ritmo è tutto concentrato nella scrittura di uno pseudo-thriller psicologico che altro non appare se non una sua lunga canzone. “Lo spacciatore di carne” è una raccolta di pensieri, riflessioni e tormenti attribuite ad un io narrante che poco ha a che fare con il leader della band “Negramaro” (come precisa lo stesso Sangiorgi in un intervista). "Nelle canzoni racconto in prima persona, qui invece guardo il mondo con gli occhi di uno che non ha il volto mio, le parole mie, le mani mie, un padre come il mio, una famiglia come la mia. Il romanzo mi ha estraniato da me stesso e spalancato altri orizzonti. Ho cominciato a scriverlo tre anni fa in tour, poi mi sono fermato per il nuovo disco, infine nel mese di silenzio dell'anno scorso seguito a un intervento alle corde vocali - forse completamente allucinato dai farmaci che assumevo - ho terminato tre quarti della storia".
Forse una trama poco entusiasmante, un ragazzo che assiste all’età di cinque anni allo squartamento di un agnellino e ne resterà segnato a vita, che nonostante il ribrezzo nei confronti del padre, del sangue e della carne vede in essi l’unica via per procurarsi un po’ di pasticche entrando così in questo tunnel senza via d’uscita che lo condurrà alla follia. Ma chi come me si ritrova ad amare alla follia questo giovane poeta non può che rimanere affascinato e ipnotizzato dallo stile a dir poco eccellente.

In una città parallela Edoardo si abbandona ad una vita sciatta e solitaria cercando di barattare l’unico bene che il padre gli abbia lasciato: la carne. Nonostante gli sguardi stupefatti dei limoni della città (le facce spremute della gente che giudica, si scandalizza e si muove col branco) Edoardo cerca di portare a compimento il suo piano. "C'è una crepa nella vita di Edo che è la causa della sua lucida follia" aggiunge l'autore. "È l'esasperazione di un mondo dove si fa tutto per seguire la moda diventando conformista nell'anticonformismo - nell'abbigliamento, nella musica, nelle letture, persino nel regime alimentare. Vede, in questo libro di autobiografico non c'è niente, tranne i dubbi, quelli son tutti i miei: la chiesa, la religione, la famiglia. Anche nei momenti di più grande successo personale ho sempre avuto il dubbio di aver cominciato a cantare per far colpo su una ragazzina, per eccesso di ego. Ma il fatto di non considerarmi né cantautore né cantante né scrittore di professione mi permette di liberare me stesso. Scrivere è naturale, lo faccio senza alcun senso di responsabilità. È insopprimibile, inevitabile. Anche se fosse un twit o un biglietto da appiccicare sul frigo perché mi urge una frase... quel momento è comunque irripetibile; creare un mondo con le parole - che sia una stanza o dieci universi paralleli - è un'emozione che non ha uguali".

Giuliano Sangiorgi
Inutile dire, Sangiorgi è Sangiorgi: qualunque cosa scriva anche se inutile e scialba, a livello stilistico risulta sempre eccelsa. Al liceo sfidava l'insegnante di lettere, un "limone" dalla faccia contratta che non sopportava il suo codino. Così una volta si presentò con i capelli lunghi e arruffati ("allora ne avevo tanti") davanti alla cattedra: "Mi interroghi!" le disse. E quella, furente, lo cacciò dall'aula, ma non riuscì mai a dargli meno di sei, perché "Sangiorgi è uno che scrive benino". "Il sabato stavo in casa, aspettavo che i miei uscissero per fare lo stupido davanti allo specchio" racconta. "Non sapevo ancora suonare la chitarra, strimpellavo il piano. Accendevo le luci colorate, quelle che lampeggiano con la musica, sparavo a tutto volume Rattle and Humdegli U2 e facevo finta di essere uno di loro. All'epoca era Leopardi il compagno delle mie solitudini. Mi sconvolgeva quel pessimismo storico e cosmico che gli permetteva di essere così spaventosamente analitico. Poi negli anni ho amato Furore di Steinbeck, Fight Club di Palahniuk e, più recentemente, Educazione siberiana di Nicolai Lilin, Tutti i colori del mondo di Giovanni Montanaro e Dentro di Sandro Bonvissuto, un capolavoro. Non seguo un genere musicale né uno stile letterario, mi faccio attraversare da tutto. Mi hanno chiesto se ritengo di essere un buon esempio per i giovani; io rispondo: anche di quelli cattivi abbiamo bisogno, altrimenti non avremmo avuto Baudelaire".

3/5

Recensione "La ragazza di fuoco" - Suzanne Collins

Lo Stato di Panem. Dodici distretti (?). L’incessante e rigido controllo di Capitol City. La costante vigilanza del presidente Snow. Un imminente minaccia sta per abbattersi scatenando violente reazioni di ribellione da parte dei distretti. E "nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita."

Katniss Everdeen sta per rivivere i suoi più tremendi incubi, che l’assillano dal termine della settantaquattresima edizione degli Hunger Games. E accanto a lei ci sarà una delle persone a cui tiene di più: Peeta o Haymitch. E involontariamente Katniss ha acceso la scintilla che farà scoppiare l’incendio della ribellione. Il senso di ingiustizia e sottomissione è sempre più forte tra gli abitanti dei distretti. E’ finito il tempo dei controlli e delle manipolazioni, ora i dodici distretti sono decisi a rivendicare la propria indipendenze e autonomia da Capitol City. E da quando Katniss Everdeen ha sfidato apertamente Capitol City, quest’dea è diventata sempre più vicina, sempre più tangibile… e l’annuncio dell’Edizione della Memoria degli Hunger Games è stata la miccia che ha fatto esplodere la bomba. Gli eroi delle precedenti edizioni degli Hunger Games stanno per tornare nell’arena e anche questa volta sarà solo uno il vincitore. A meno che…

Oh bèh sarebbe davvero mostruoso rivelare nei dettagli la trama di questo secondo libro, perciò mi limiterò a dare generali indicazioni riguardo ad esso. Premetto che sicuramente non è come il primo capitolo della trilogia, ma nonostante ciò non me la sono proprio sentita di dare un voto minore di 5 stelline. La prima parte del libro è quella che, a parere dei lettori, è più lenta e monotona, priva di qualunque particolare evento…eppure io sono del papere opposto. E’ la parte più significativa del romanzo; da queste pagine trapela l’insoddisfazione dei distretti, il rifiuto del controllo di Capitol City, la volontà di porre fine a questo “regime” di terrore e monopolio sulle coscienze degli abitanti dei 12 distretti. Viene accuratamente descritto, senza troppi giri di parole e senza descrizioni prolisse, le condizioni di vita soprattutto del 12 distretto che, se negli anni addietro era stato uno dei distretti forse più avvantaggiato (sia per la possibilità di aggirare le regole di Capitol City, e per l’assenza di Pacificatori brutali e spietati), si ritrova, adesso, a vivere in condizioni disastrose, con un nuovo capo di Pacificatori, non più disposto a “chiudere un occhio” sulla mancata osservazioni delle leggi, pronto a punire con mezzi violenti chiunque si rifiutasse di prestare obbedienza. Tutto ciò viene descritto dalla Collins con essenzialità nel lessico e nello stile. Non divaga mai in lunghe e piatte descrizione ma presenta ogni scienza solo in base alle azioni e ai pensieri dei personaggi. E forse è proprio questa essenzialità che fa sì che si ha l’impressione di trovarsi tra le pagine del libro, in giro tra i vari distretti, a soffrire nell’ arena degli Hunger Games. E’ molto facile partecipare agli stati d’animo della protagonista, ai suoi timori, i suoi dubbi, le sue insicurezze e i suoi terrori; è molto facile amare i personaggi che si rivelano non per i loro pensieri ma per le loro azioni; è facile amare Peeta com’è facile amare contemporaneamente Gale; ma nonostante tutto è ancora più facile tifare principalmente per Peeta.
E cosa altrettanto importante, che mi spinge ad amare ancor di più questo romanzo, è il significato che mi è venuto spontaneo dare a tutti gli eventi di rivolta dei distretti: è così che dovremmo agire. Abbiamo bisogno anche qui di una rivolta ed abbiamo bisogno della nostra ghiandaia imitatrice che dia il via ad essa.

5/5

Recensione "Shanna" - Kathleen E. Woodiwiss

Inghilterra 1749. Una carrozza corre tra le strade di Londra in una notte buia e fredda. All’interno è “abitata” da una bellissima fanciulla dai capelli biondi come l’oro e due occhi verde mare. Il suo nome è Shanna Trahern, figlia di un ricco mercante che possiede un’isola nei Caraibi, Los Camellos, dove vive e dà da vivere a molte persone che lo rispettano e lo considerano una specie di governatore-sovrano. Da quando la moglie lo ha lasciato, parecchi anni prima, Orlan Trahern ha sempre sperato che la figlia si sposasse presto con un gentiluomo e che potesse lasciargli dei nipotini ai quali avrebbe affidato tutta a sua eredità da lui. Shanna però sogna il fatidico principe azzurro che le farà vivere una magica storia d’amore e cerca di sottrarsi al volere del padre. Ignora tutti i gentiluomini che le fanno ossessivamente la corte trovando in ognuno di esse difetti imputabili. Trahern pertanto decide di mandare Shanna a Londra a frequentare l’alta società e a cercarsi un marito adatto a lei, ma le dà tempo un anno, dopodiché, se non torna a casa sposata, provvederà lui a combinarle un matrimonio di convenienza. Shanna però ha un carattere estremamente orgoglioso e si rifiuta di sposare un uomo solo per il capriccio di suo padre, così appena pochi giorni prima la data di scadenza impostagli dal padre, Shanna con l’aiuto del fedele Pitney, la guardia del corpo nonché anche un per ottenere una lista dei condannati a morte della prigione di Newgate e cerca fra di essi un nome che possa avere un legame con la nobiltà. Trova un certo Ruark Deverell Beauchamp, che deve per forza essere imparentato con il marchese di Beauchamp e decide di andare alla prigione a proporgli un patto. Ruark era stato incarcerato tre mesi prima, con l’accusa di avere ucciso una donna che lui avrebbe anche messo incinta e il giudice, senza ascoltare la sua difesa, ha deciso di condannarlo a morte. In realtà Ruark era appena arrivato a Londra dalla Scozia e la donna lo aveva portato nella sua camera in una locanda dove lui si era fermato a riposare e lo aveva fatto addormentare versandogli un sonnifero in una bevanda, per derubarlo. Per circostanze complicate, la donna stessa era stata uccisa da uno sconosciuto e Ruark, trovato su luogo, era stato accusato ingiustamente di essere l’assassino. Di lì a cinque giorni sarebbe stato impiccato e Shanna gli propone il matrimonio: in questo modo lei sarebbe stata subito vedova, con un nome con cui accontentare il padre e Ruark avrebbe potuto passare una giornata fuori dall’orribile cella, prima di morire. Il patto, secondo il desiderio di Ruark, deve comprendere anche la consumazione del matrimonio, ma Shanna non è dell’avviso. Infatti Ruark a causa dei tre mesi chiuso nella prigione non rivela subito alla ragazza i lati positivi del proprio aspetto fisico: la folta barba, i capelli scompigliati, i vestiti miseri e logori lo fanno apparire insignificante agli occhi della bella Shanna. La giovane però si vede costretta ad accettare il patto ma quando i due si incontrano nella parrocchia del villaggio per celebrare il matrimonio pattuito a Shanna appare davanti agli occhi un uomo alto, snello, con i fianchi stretti, le spalle larghe e i muscoli guizzanti con un fare scanzonato ed ironico e un sorriso molto affascinante. Dopo la cerimonia, nella carrozza che dovrebbe riportare indietro il condannato, Ruark tenta di convincere Shanna a rispettare il patto fino in fondo e pretende che lei gli si conceda come una moglie, almeno per una volta prima che lui venga giustiziato. Shanna cerca di resistere ma invano: un inizio di consumazione avviene, ma presto il povero Ruark viene riportato alla realtà e sbattuto violentemente nella sua cella. Quando a Shanna la raggiunge la notizia della sua morte, ella decide di tornare a Los Camellos e dargli la notizia che lei ora è la vedova Beauchamp e ha il diritto di cercarsi un secondo marito secondo i suoi gusti. Ma l’intendente del padre, il perfido Ralston è in combutta con il secondino di Newgate per comprare a basso prezzo gli schiavi per il suo padrone fra i prigionieri per debiti. Ruark è un condannato a morte, ma colpisce l’occhio di Ralston perché con quel fisico sarebbe uno schiavo molto più produttivo degli altri e convince il carceriere a scambiare il cadavere di un vecchio per far credere che il morto impiccato sia realmente Ruark, mentre lui se lo porta via nella stessa nave in cui si è imbarcata Shanna per tornare a casa. Passano solo pochi giorni quando Shanna si imbatte per una strada dell’isola in una schiavo del padre che si rivela essere lo stesso Ruark. Il suo non-defunto marito ha cambiato il suo nome in John Ruark e si rivela uno schiavo in carriera, perché ha mille idee su come migliorare i metodi di irrigazione, coltivazione, utilizzo delle materie prime: sa progettare macchinari per macinare, distillare, razionalizzare i lavoro nei campi. Orlan Trahern è affascinato dall’abilità dello schiavo (non essendo a conoscenza del piano della figlia) e pian piano gli concede numerose libertà e benefici, aumentandogli notevolmente il salario e permettendogli di frequentare casa sua come fosse uno di famiglia. Per Shanna si fa sempre più difficile mantenere il segreto tanto più che Ruark sembra esercitare una forte attrazione per la ragazza che arriva a concedersi a lui più volte. Ruark farà qualunque cosa e sopporterà le peggiori ripicche di Shanna, avendo molta pazienza ogni volta che lei lo ricaccerà indietro dopo avergli dato l’illusione di cedere un po’. Infatti Ruark è pur sempre uno schiavo e l’uomo che Shanna sogna di avere al suo fianco è un ricco nobiluomo. Quando però Shanna sembra essersi avvicinata a Ruark ecco che si sente tradita da quest’ultimo perché si è rifugiato tra le vesti di un’altra donna perciò chiede a Pitney di sbarazzarsi di lui. Ruark viene quindi catturato dai pirati i quali attaccheranno Los Camellos per rubare del denaro e rapire la stessa Shanna. I due si ritrovano soli a dover ideare un piano di fuga per poter tornare a Los Camellos. Durante la loro permanenza a Los Camellos Shanna si rende conta di aver estremamente bisogno che Ruark gli stia accanto, di sentire la sua presenza vicina, sente il bisogno delle sue forti braccia che la cingono e la proteggono da tutto e tutti. Si rende conto di amalo profondamente e decide di amarlo come una buona moglie dovrebbe fare. Una volta ritornati a Los Camellos Orlan Trahern insieme alla figlia, a Ruark, il “nobile” Sir Billinsgham e Ralston vengono invitati nelle terre del capitola Nathaniel Beauchamp dove Shanna verrà a conoscenza della famiglia di Ruark e dove dopo numerose faccende complicate l’amore dei due protagonisti trionferà e vivranno felici e contenti con i loro bambini.

4/5

Recensione "Io sono di legno" - Giulia Carcasi

“Vedi nella storia di ogni persona c’è una diga. Da una parte, l’acqua che cresce e scalcia ed è energia. Oltre lo sbarramento, la terraferma. Tu di me sai la terraferma. E allora ti racconto l’acqua che non ha visto”.

Giulia è una madre. Aspetta il ritorno di sua figlia, una domenica mattina, all’alba. Cerca di immaginare il suo sabato sera, con gli amici, i ragazzi, la musica, ma quando Mia torna, il mascara che lascia scivolare sul suo viso, è chiusa alle parole. E’ chiusa ai racconti, alle confessioni. E Giulia ha paura. Vorrebbe comunicare con lei, aprirsi e aprirla al dialogo ma non trova le parole adatte. Il suo bisogno di conoscere sua figlia, di insinuarsi tra i suoi pensieri e le sue emozioni la porta a leggere il suo diario segreto. In Giulia scatta qualcosa. Decide di raccontarsi alla figlia. La figlia che la vede come la terraferma, così concreta. Decide di raccontare di una madre non del tutto estranea al suo mondo. Una madre che nella sua vita è stata pioggia, di una madre che ha amato, ha sofferto, che non ha mai avuto il permesso di scegliere la sua vita. Sua figlia no. Si sente diversa. Mia: un nome corto e scelto per un solo motivo espressamente egoistico: crescere libera, schiava di nessuno. Rabbiosa, si ritiene incapace di amare. Giulia invece le racconterà tutto: gli errori inconfessabili di una madre che è stata anche ragazza, che è molto più simile a Mia di quanto entrambe possano credere. Scrive perché spera che leggendo i suoi errori sua figlia possa evitarli. O magari ne farà di nuovi. Viene a galla il passato di una donna ferma, di legno, un passato fatto di cicatrici, ferite ma anche incontri dolci, incontri che le hanno insegnato ad amare ad avere coraggio.
Io sono di legno, secondo romanzo di Giulia Carcasi, prosegue in un’ alternanza tra i pensieri di Mia e le confessioni di Giulia. Un alternarsi di brevi pensieri, frasi ad effetto che riescono a giungere nel cuore del lettore e ad aprirsi un varco per poi depositarsi su una zona morbida e comoda, difficile da lasciare. Due voci solitarie, perse e lontane che cercano di avvicinarsi, di stabilire un contatto, sfiorarsi. Due voci che dietro l’apparenza di anaffettività, di stabilità, dietro l’armatura in legno dietro le quali credono di nascondersi, celano una storia sofferta, fatta di silenzi e rimpianti.
Grandi emozioni sono racchiuse all’interno di questo libro. Mi rivedo in Giulia, nei suoi silenzi e nella sua incomprensione. Mi rivedo in Mia rabbiosa e chiusa al dialogo. Ritmo incalzante e lontano dalla noia. Un lessico diretto, semplice e profondo, giusto per un piccolo libro. Piccolo, breve, sì. Ma brevità non significa banalità.

4/5

Recensione "Il grande Inverno" - George R.R. Martin

Caro signor Martin mi ascolti un attimo. Lei mi piace, e molto anche. Mi piace il suo stile, mi piace la sua “morale” e amo la sua testa. Sì proprio quella dalla quale ha tirato fuori questo capolavoro. La storia di questa saga è a dir poco brillante..Epica direi. I personaggi sono minuziosamente tratteggiati con grande maestria ed eccellenza. Le ambientazioni, da togliere il respiro. Ho capito, Lei è un genio. Però adesso cerchiamo di mantenere questa stima che io provo per lei. Avevo già sentito dire che lei ha una certa psicopatica mania di uccidere tutti i personaggi della storia, però cerchi di fare una scelta ben accurata. Mi spiego meglio. Eddard Stark. Ha presente, vero, il Lord di Grande Inverno, padre di sei figli, marito, uomo d’onore, valore, coraggio e fin troppa bontà e cieca fiducia? E se lo ricorda mi spiega a cosa pensava mentre scriveva della sua morte? Ora io non vorrei mica criticare il suo operato, non mi permetterei mai. Ma non posso continuare a leggere “Le Cronache del ghiaccio e del fuoco” senza Ned Stark. Non riuscirò più a leggerlo con lo stesso entusiasmo (ok non è vero, tra un po’ mi passerà..almeno un po’). So già che non ascolterà le mie preghiere e farà fuori moooolti personaggi, però ci tenevo comunque a esprimere il mio rammarico per la perdita di uno dei miei personaggi preferiti, per ora. Comunque grazie per avermi dedicato un minuto del suo prezioso tempo.
Con affetto,
sua già affezionata fan.
Eddard Stark nella Serie TV "Il trono di spade"
Ebbene sono arrivata al secondo volume di questa saga e aspetto con ansia il terzo. Inutile dire che me ne sono a dir poco innamorata e che non riesco a farne a meno. La storia si fa sempre più interessante, una prima battaglia ha già avuto inizio e non si può non stare in ansia leggendo le pagine in cui vengono descritti gli scontri. I personaggi sono in continua evoluzione ed è particolarmente facile affezionarsi ad essi. Il vero punto di forza di questa saga, oserei dire, sono i personaggi stessi. Molti sono ahimè usciti dalle “scene” e molti sembrano assumere un ruolo sempre più importante. Alcuni luoghi sono così misteriosi da bloccarti il respiro dentro e il clangore d’armi, le lucenti armature, i possenti destrieri e i cavalieri che li cavalcano, le spade che si scontrano, le asce che vorticano in aria, tutto sembra ricondurre alla tradizione epica. Giustamente condito con scene di violenza, sesso e dettagli macabri. Anche in questo romanzo lo stile è versatile, il ritmo della narrazione è incalzante e mai prolisso. Non ci si annoia mai.
Ho poco da dire, il libro si commenta solo. Posso solo consigliarlo, nient’altro.

5/5

Recensione "Il trono di spade" - George R.R. Martin

Primo volume della saga Cronache del ghiaccio e del fuoco. Lasciamo da parte la trovata, del tutto illogica, da parte della Mondadori di dividere il primo volume della serie in due volumi separati e quindi il “finale” che non è neanche tale, questo libro si sta rivelando, nel proseguire la lettura, estremamente piacevole, avvincente e appassionante. Dire che non riesco a staccare gli occhi dalle pagine è poco. I miei pensieri sono fissi verso questo libro, verso tutto le avventure narrate e verso i personaggi che una volta entrati dentro non escono con molta facilità.

Devo ammettere che le prime 30 pagine sono abbastanza difficoltose. Si fatica a entrare nella storia, a collegare ciascuno alle proprie casate, con i proprio motti e i propri stendardi. Dietro ogni casata si nasconde una storia risalente a migliaia di anni, con nomi pressoché simili per tanto difficile tra ricordare e collegare in seguito. Ma una volta superata la montagna il viaggio prosegue tutto in discesa, la storia scorre sotto gli occhi come fosse acqua in un ruscello, i luoghi ormai esplorati sono come la propria casa e i personaggi rimangono talmente impressi nella mente che è ormai difficile confonderli tra loro. La storia prosegue in un alternarsi tra i vari personaggi. Ogni capitolo si concentra su un personaggio in particolare permettendo al lettore di un avere un quadro più chiaro della vicenda, analizzando il parere di ogni singolo personaggio e lasciando al lettore la libertà di scegliere cosa è giusto e cosa no, a chi va la ragione e a chi no.

I personaggi che in questo primo volume mi sono sembrati più efficaci sono quelli di Tyrion Lannister, Jon Snow e senza dubbio Eddard Stark. Tyrion, il nano, figlio di Lord Tywin Lannister e fratello della regina, l’uomo che ha imparato a vivere con la sua deformità, ha superato le derisioni e i pregiudizi a cui era soggetto e ha fatto, della due deformazione la sua forza. Personaggio divertente, ambiguo, sottile, di cui non vi stancherete di seguire le evoluzioni e di cui non potrete fare a meno di chiedervi da che parte stia veramente. Jon Snow, figlio illegittimo di Eddard Stark spicca per l’intraprendenza, il coraggio e l’altruismo. E infine Eddard Stark, il lord di Grande Inverno, Primo cavaliere del Re, uomo d’onore, coraggio e lealtà. Ma il racconto non si limita a questi tre personaggi: anzi il lettore potrà scegliere da sé a chi affidare la propria lealtà e la propria fiducia.

Questo volume non fa comunque considerato come un vero e proprio fantasy. Si tratta più che altro di uno “storico” a sfondo epico e dalle ambientazioni un po’ più in reali, in un altro luogo o in un altro tempo. Questo libro risolta molto più credibile e verosimile rispetto ad un Hunger Games, ad esempio. Lo scrittore ricrea un’atmosfera medievale del tutto plausibile, coi suoi tornei, le rivalità tra dinastie, i figli illegittimi e quelli legittimi, gli addestramenti. Ma ciò che colpisce soprattutto è il ritmo della narrazione, incalzante e mai prolissa, nessuna inutile lungaggine, essenzialità delle sequenze, efficacia degli accostamenti cromatici. Possiamo accostarlo a “I pilastri della Terra” di Follet, se vogliamo collocarlo in un genere specifico.

Inutile ripetere che sono decisamente entusiasta dell’inizio di questa saga e spero solo che Martin, visto i numerosi volumi di questa saga, non perda in ritmo con il quale ha realizzato questo primo volume. La noia e il sonno non hanno potere su questo romanzo e ciò è decisamente un buon segno. Finito questo libro sono subito andata ad acquistare il secondo nonostante avessi già altro da leggere, e sono già a metà libro di quest’ultimo. Che dire un vera scoperta, avevo proprio bisogno di un libro che mi affascinasse tanto e mi sconvolgesse a tal punto. Non resta che vedere come prosegue la narrazione e sperare in un qualcosa che sia sempre meglio.

5/5

Recensione "Les Miserables"

Miei carissimi lettori, come state? Purtroppo è passato molto tempo dall'ultima volta che ho pubblicato un post, ma gli impegni di studio richiedono la mia massima attenzione. Ma per farmi perdonare vengo a parlarvi del film più bello che abbia visto negli ultimi tempi, ovvero Les Miserables.

1815. Libertà, uguaglianza e fratellanza sono naufragati a termine della Rivoluzione francese. Luigi XVI viene ghigliottinato, ma un altro sovrano succede ad esso. Siamo a Parigi. Su un malconcio tricolore in mare si apre Les Misérables, film in forma di musical, diretto da Tom Hooper, premio Oscar per il ‘Discorso del Re’, e tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo. L’ormai nota, brillante e acclamata regia di Hooper riprende fedelmente il musical del 1980 di Claude-Michel Schonberg e Alain Boublil. A teatro l’opera è interamente cantata in ogni suo minuto e così accade in questa nuova pellicola. Il canto predomina su l’intero film alternato da piccole battute fatte di monosillabi, per un effetto, sicuramente impegnativo, ma maggiormente coinvolgente e allo stesso tempo commovente. Nella scena d’apertura assistiamo ad un irriconoscibile Hugh Jackman nei panni del protagonista Jean Valjean. Una scena visivamente eccezionale accompagnata da una canzone musicalmente e testualmente magistrale. Parte del merito va sicuramente alle doti canore di Jackman, già consumato attore di musical. Scelta decisamente perfetta quella di far interpretare Valjean a Jackman che aderisce totalmente e con ardore e passione alla parte del personaggio. Ciò che trasforma ‘Les Misérables’ in un vero capolavoro è proprio la decisione, certamente azzardata ma più che soddisfacente, di non usare il supporto del playback: sì, perché a differenza dei musical precedenti in cui si registravano le musica in studio per poi sovrapporle alla scena, in ‘Les Misérables’ è il cast a farsi interprete delle bellissime canzoni che adornano questo musical. Per la prima volta in un musical appare Russel Crowe



particolarmente intenso nei panni di un ossessionato e tormentato Jarvet. La sua prestazione canore tocca alti livelli tale che quando è in scena è molto difficile distogliere l’attenzione dal suo personaggio per concentrarlo altrove.

Russel Crowe in 'Jarvet''

Anne Hathaway in 'Fantine'

Segue, non di certo per inferiorità, candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista Anne Hathaway, che nella sua performance ‘I dreamed a dream’, ci regala alcuni commoventi minuti. La Hathaway interpreta i panni della sfortunata Fantine, giovane madre con una figlia a cui badare che finisce per prostituirsi per amore della sua piccola Cosette. Sognava un mondo diverso dall’inferno in cui si trova a vivere sperando ancora che il padre di Cosette, che ha talmente amato, torni da lei a vivere come una famiglia. Sicuramente il personaggio più profondo da strapparti qualche lacrima.


Vediamo poi la coppia Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen, già insieme in ‘Sweeny Todd’ film di Tim Burton, che interpretano dei perfidi locandieri cinici e senza scrupoli ai quali è stata affidata la tutela di Cosette.


Helena Boham Carter e Sacha Caron Cohen
In un musical molto commovente e emozionante come Les Misérables, a loro due sono affidati gli unici momenti grotteschi di tutto il film. Va ricordato che il film non poggia esclusivamente sull’interpretazioni di questi volti noti: Molto azzeccati anche i comprimari, su tutti Eddie Redmayne nel ruolo del giovane rivoluzionario Marius e l'esordiente Samantha Barks nei panni della dolce Eponine; decisamente lodevole la sua interpretazione canora dell’altrettanto commovente ‘On my Own’. Tom Hooper mette in scena un film fatto principalmente di primi piani, ognuno diverso dall’altro grazie a una messa in quadro obliqua, scentrata, attenta a stagliare i volti sugli sfondi o a incorniciarli tra gli elementi della scenografia. Il che da origine ad un’intensità tangibile. Una produzione sontuosa attraversato da un contagioso slancio rivoluzionario. Molti critici l’hanno fortemente criticato per la lunga durata molto vicina alle tre ore che sembra aver annoiato un po’ il pubblico nella parte centrale della pellicola. Mi permetto di dissentire da questa affermazione: una minore durata del film l’avrebbe senz’altro reso povero ed estremamente sintetico, se si considera la mole e l’intensità del romanzo. Les Misérables è un musical di indubbio spessore e una tenuta emotiva impressionante. Senz'altro uno dei migliori prodotti del genere sfornati negli ultimi dieci anni.

5/5