mercoledì 20 febbraio 2013

Recensione "Lo spacciatore di carne" - Giuliano Sangiorgi

Edoardo è un giovane salentino, figlio di un macellaio, in trasferta a Bologna per frequentare l’Università. Durante un viaggio in treno conosce e s’innamora follemente di Stella. La ragazza prima lo avvia all’uso di ogni tipo di droga poi lo tradisce con il suo coinquilino e lo lascia. Ormai dipendente dalle pasticche colorate che lo trasportano in mondi spesso popolati dai ricordi d’infanzia nel mattatoio di famiglia, rinchiuso in uno mondo di solitudine e sciatteria, Edoardo trova nella carne che il padre gli manda da Sud una fonte per procurarsi la droga e finirà in una spirale di allucinazioni che lo farà precipitare nel baratro della follia.

Trentatrè anni, una carriera luminosa ed una voce da brivido, Giuliano Sangiorgi si cimenta per la prima volta nella stesura di un romanzo, che cela all’interno delle sue pagine pura e semplice poesia, un rimando ai suoi testi musicali. Sangiorgi ha il dono di comunicare anche in assenza di suoi. Qui la musica non c’è e il ritmo è tutto concentrato nella scrittura di uno pseudo-thriller psicologico che altro non appare se non una sua lunga canzone. “Lo spacciatore di carne” è una raccolta di pensieri, riflessioni e tormenti attribuite ad un io narrante che poco ha a che fare con il leader della band “Negramaro” (come precisa lo stesso Sangiorgi in un intervista). "Nelle canzoni racconto in prima persona, qui invece guardo il mondo con gli occhi di uno che non ha il volto mio, le parole mie, le mani mie, un padre come il mio, una famiglia come la mia. Il romanzo mi ha estraniato da me stesso e spalancato altri orizzonti. Ho cominciato a scriverlo tre anni fa in tour, poi mi sono fermato per il nuovo disco, infine nel mese di silenzio dell'anno scorso seguito a un intervento alle corde vocali - forse completamente allucinato dai farmaci che assumevo - ho terminato tre quarti della storia".
Forse una trama poco entusiasmante, un ragazzo che assiste all’età di cinque anni allo squartamento di un agnellino e ne resterà segnato a vita, che nonostante il ribrezzo nei confronti del padre, del sangue e della carne vede in essi l’unica via per procurarsi un po’ di pasticche entrando così in questo tunnel senza via d’uscita che lo condurrà alla follia. Ma chi come me si ritrova ad amare alla follia questo giovane poeta non può che rimanere affascinato e ipnotizzato dallo stile a dir poco eccellente.

In una città parallela Edoardo si abbandona ad una vita sciatta e solitaria cercando di barattare l’unico bene che il padre gli abbia lasciato: la carne. Nonostante gli sguardi stupefatti dei limoni della città (le facce spremute della gente che giudica, si scandalizza e si muove col branco) Edoardo cerca di portare a compimento il suo piano. "C'è una crepa nella vita di Edo che è la causa della sua lucida follia" aggiunge l'autore. "È l'esasperazione di un mondo dove si fa tutto per seguire la moda diventando conformista nell'anticonformismo - nell'abbigliamento, nella musica, nelle letture, persino nel regime alimentare. Vede, in questo libro di autobiografico non c'è niente, tranne i dubbi, quelli son tutti i miei: la chiesa, la religione, la famiglia. Anche nei momenti di più grande successo personale ho sempre avuto il dubbio di aver cominciato a cantare per far colpo su una ragazzina, per eccesso di ego. Ma il fatto di non considerarmi né cantautore né cantante né scrittore di professione mi permette di liberare me stesso. Scrivere è naturale, lo faccio senza alcun senso di responsabilità. È insopprimibile, inevitabile. Anche se fosse un twit o un biglietto da appiccicare sul frigo perché mi urge una frase... quel momento è comunque irripetibile; creare un mondo con le parole - che sia una stanza o dieci universi paralleli - è un'emozione che non ha uguali".

Giuliano Sangiorgi
Inutile dire, Sangiorgi è Sangiorgi: qualunque cosa scriva anche se inutile e scialba, a livello stilistico risulta sempre eccelsa. Al liceo sfidava l'insegnante di lettere, un "limone" dalla faccia contratta che non sopportava il suo codino. Così una volta si presentò con i capelli lunghi e arruffati ("allora ne avevo tanti") davanti alla cattedra: "Mi interroghi!" le disse. E quella, furente, lo cacciò dall'aula, ma non riuscì mai a dargli meno di sei, perché "Sangiorgi è uno che scrive benino". "Il sabato stavo in casa, aspettavo che i miei uscissero per fare lo stupido davanti allo specchio" racconta. "Non sapevo ancora suonare la chitarra, strimpellavo il piano. Accendevo le luci colorate, quelle che lampeggiano con la musica, sparavo a tutto volume Rattle and Humdegli U2 e facevo finta di essere uno di loro. All'epoca era Leopardi il compagno delle mie solitudini. Mi sconvolgeva quel pessimismo storico e cosmico che gli permetteva di essere così spaventosamente analitico. Poi negli anni ho amato Furore di Steinbeck, Fight Club di Palahniuk e, più recentemente, Educazione siberiana di Nicolai Lilin, Tutti i colori del mondo di Giovanni Montanaro e Dentro di Sandro Bonvissuto, un capolavoro. Non seguo un genere musicale né uno stile letterario, mi faccio attraversare da tutto. Mi hanno chiesto se ritengo di essere un buon esempio per i giovani; io rispondo: anche di quelli cattivi abbiamo bisogno, altrimenti non avremmo avuto Baudelaire".

3/5

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