martedì 31 luglio 2012

Recensione "Sognando te" Lisa Kleypas

Inghilterra XIX secolo. Sara è una giovane scrittrice, ingenua, pudica, chiusa nel suo piccolo paesino di gente umile e modesta e ignara del mondo che la circonda. Derek è un perverso e cinico giocatore, pericoloso, bello e dannato, incapace di amare. Un giovane proveniente dai bassifondi che, con astuzia, charme e peccato, ha saputo farsi strada tra l’aristocrazia di una Londra del ‘8oo. Ma quando Sara incontra Derek qualcosa cambia. Derek sa di essere diverso, sa di poter realmente amare questa minuta e ingenua fanciulla, con la sua dolcezza, la sua passione, e questo lo spaventa. Derek ha vissuto una vita circondato da amanti e prostitute, ma nessuna è mai riuscita a penetrare dentro la corazza che lo isola dai più nobili sentimenti che si celano nell’animo umano. Ma Sara è diversa. Sara sa che Derek ha bisogno di essere amato, di provare questo sentimento che gli è stato negato fin dalla nascita. Sarà proprio questa dolce e timida ragazza a dimostrare a Derek che non è tutto perduto e che il passato può essere cancellato.

Questo è il mio approccio con Lisa Kleypas, un’autrice negli ultimi tempi molto decantata. Molti sono coloro che hanno tessuto le sue lodi, dipingendola come la regina dei romanzi rosa. Quindi, fortemente affascinata da quest’autrice, decisi di provare a leggere qualche suo romanzo. Così scelsi quello che, a parere dei lettori, è uno dei suoi migliori romanzi. Non posso dire di esserne rimasa delusa ma avevo maggiori aspettative. Forse sbaglio, ma quando leggo un romanzo rosa, che sia harmony o romance, non posso fare a meno di paragonarli ai romanzi della Woodiwiss. Amo alla follia i romanzi della Woodiwiss, lo stile, le trame, le ambientazioni, i personaggi…Mi sorgono spontanei dei paragoni e proprio per questo non posso dare un giudizio particolarmente alto a questo romanzo. Mi aspettavo una storia più intrigante, più travolgente, che mi lasciasse senza fiato. Anche lo stile della Kleypas, ha qualcosa che mi convince poco. I dialoghi tra i due protagonisti si sono rivelati a volte troppo “XXI secolo”. Molte espressioni, molte battute erano poco adatte alle circostanze. Per quanto riguarda i due personaggi devo dire che sono ben caratterizzati. Sara è un personaggio un po’ strano; a tratti si mostrava come una verginella pudica, educata con sani principi e grandi ideali. Altre volte cambiava completamente aspetto. Ho notato alcune contraddizioni nei suoi atteggiamenti.
Derek si considera una persona egoista, in realtà ha più cuore di quanto voglia far credere. L’eroe del romance è sempre tormentato da i fantasmi del passato e quelli di Derek sono ancora vivi e brutali. Nessuno può biasimare Derek, nessuno lo condanna per la sua ingordigia di potere, di ricchezza, di donne. E’ imperfetto ma comunque plausibile, la sua esagerazione cinica sappiamo da dove proviene e ciò lo giustifica. L’infanzia tremenda, la crescita tra le difficoltà, l’ha indurito nei confronti della vita. Il fatto che la sua fortuna si basi sul sacrificio, su anni di vita peccaminosa fa sì che Derek creda che tutto abbia un prezzo, che si possa comprare ogni cosa, eppure subisce il fascino di Sara tanto da sentirsi inadeguato e sudicio di fronte a Sara che rappresenta la purezza.

In conclusione un libro carino, che consiglio come lettura estiva, per nulla impegnativa. Storia abbastanza semplice, forse troppo ma ideale per staccare un po’. Consiglio di leggerla agli amanti del genere che potrebbero apprezzare la lettura.

Anno pubblicazione: 1994
Editore: Mondadori 

Voto complessivo: 3.5/5

sabato 28 luglio 2012

Recensione "Il curioso caso di Benjamin Button"

Il tempo attraversa inesorabilmente le vite degli esseri umani; non c’è modo di sfuggirgli. La vita è una continua lotta contro il tempo. Il tempo scorre sulle vite dell’uomo in un lento percorso che culmina con la vecchiaia. Tutti invecchiamo. Tutti lasciamo che il tempo scorra sul nostro corpo, sulla nostra anima, sulla nostra vita. Tutti meno uno. Benjamin è il suo nome. Benjamin è nato in circostanze singolari. Benjamin è diverso da ogni altro bambino. Ogni bambino affronta il tempo, lotta contro di esso ma poi invecchia. E’ inreversibile. Ma Benjamin è diverso. Benjamin sfida il tempo, lo inganna e lo capovolge. Benjamin è nato “vecchio”. Il tempo attraversa la vita di Benjamin in senso opposto al consueto , costretto a ringiovanire man mano che cresce , ripercorrendo a ritroso le fasi della sua evoluzione fisica. Viene colpito dall’alzaimer a soli due anni di vita e il suo viso si ricopre di acne a settanta. Ma durante la sua vita Benjamin compie le esperienze dovutegli dalla vita. Vuole conoscere il mondo, viaggiare, scoprire, imparare, incontrare nuove persone. Ma Benjamin non riuscirà mai a incontrare realmente qualcuno, perché l’età gioca a suo sfavore. Se non ci fosse Daisy. La loro storia si evolve a un ritmo particolare, fragile e perfetta come può esserla solo quella tra persone affini che si incontrano a metà strada, mentre l’una si incammina verso la vecchiaia e l’altro marcia verso la giovinezza. Puoi vivere una vita partendo dalla fine o dall’inizio: puoi accusare il peso della vecchiaia, l’indebolimento delle forze psico-motorie e osservare tutte e persone più care scomparire. Ma puoi vivere la vita dall’inizio, ignaro di ciò che ti circonda, privo della percezione delle cose del mondo. E’ allora non cambia nulla. E’ solo nella parte centrale della tua esistenza che la vita si manifesta completamente.


“Per quel che vale... non è mai troppo tardi, o nel mio caso, troppo presto per essere quello che vuoi essere. Non c'è limite di tempo, comincia quando vuoi... puoi cambiare o rimanere come sei, non esiste una regola in questo, possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio. Spero che tu viva tutto al meglio, spero che tu possa vedere cose sorprendenti, spero che tu possa avere emozioni sempre nuove, spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi, spero che tu possa essere orgogliosa delle tua vita e se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero.”

Il film s’ispira al racconto di Francis Scott Fitzgerald “Il curioso caso di Benjamin Button”, ma David Fincher innalza un vero monumento alla vita, alla morte e soprattutto al tempo. Una regia perfetta ed equilibrata, accompagnata da una scenografia eccelsa e da una fotografia elegante e sublime. A tratti si ha l’impressione che Fincher sostituisca la sua cinepresa con un pennello e si ha l’impressione di ritrovarsi tra la cornice di un dipinto. La sua regia è elegante e molto semplicente, confacente alla linearità della storia. Riesce a esaltare i momenti più poetici, più delicati della storia, quali le scene di danza, le scene più romantiche, come gli incontri tra Benjamin e Daisy. Nonostante la sua semplicità, la regia di Fincher è da ritenersi superba. La regia è accompagnata dalla magistrale interpretazione di un Brad Pitt diverso, ora ottantenne, ora meno che ventenne. Diamo la giusta importanza al trucco e agli effetti speciali che hanno contribuito notevolmente nella pellicola, ma Brad Pitt in questo sceneggiato è a dir poco superlativo. Ogni inquadratura ti regala qualcosa; anche nel silenzio Brad Pitt riesce a comunicare con lo sguardo, con il sorriso. Accanto a Brad Pitt si affaccia la figura di una eterea e candida Chate Blanchett sempre più bella, sempre più elegante, offre al pubblico una magnifica interpretazione, sia essa giovane o vecchia, dolce, disillusa, forte e coraggiosa. Un cast di tutto rispetto.

“Non è mai troppo tardi per essere quello che decidi di essere”.

Con questa frase ecco svelato il messaggio di questa pellicola. Non importa se vivi la tu vita partendo dalla fine o dall’inizio. L’importante è il modo in cui vivi la tua esistenza. E non importano gli errori che compirai nel tuo percorso; non importa il tempo che impiegherai per capire chi sei; puoi decidere chi sei, cambiare idea il giorno dopo e ricambiarla ancora; non c’è un limite di tempo; ma se ti accorgi di aver sbagliato, di non aver ancora trovato la tua identità, l’importante è avere la forza di ricominciare da zero e vivere tutto dall’inizio.



Voto complessivo: 5/5

giovedì 26 luglio 2012

La tradizione del tè delle cinque

Se nessuno al mondo sa fare il caffè come noi italiani, è senz’altro vero che il tea fatto in Inghilterra non ha eguali. Senza dubbio un rito che non si trascura mai a Londra. In tutta la Gran Bretana al tè vengono dedicati ben tre momenti della giornata: breakfast, high-tea e afternoon teà. Il breakfast è la colazione, ben ormai, in cui il teà viene accompagnato da pane tostato, uova e bacon, formaggio burro e marmellata. L’high teà ha invece una storia più complessa: all’epoca della regina Vittoria era la cena, alla fine del XIX secolo era l’abbondante merenda delle occasioni speciali. Oggi invece precede la cena e lo si pregusta nel tardo pomeriggio della domenica o dei giorni festivi. Ma è l’afternoon teà a detenere il primato come il rito più in voga degli ultimi tempi, il teà dellle cinque. La nascita di questa tradizione si attribuisce alla Duchessa Anna Maria, moglie del settimo Duca di Bedford, la quale era abituata a intrattenere i suoi ospiti con degli spuntini pomeridiani nella sua tenuta a Woburn Abbey. L’usanza degli inglesi di prendere il tè alle 5 pare sia nata con Anna Maria Stanhope, duchessa di Bedford, che per superare lo stacco tra pranzo e cena prese l’abitudine di consumare la bevanda con i biscotti a metà pomeriggio. Se prima si faceva portare una teiera e dei dolcini quasi di nascosto, poi cominciò a fare dei veri e propri inviti alle altre dame di compagnia della regina Vittoria, facendo di questa abitudine un vero e proprio rito. Il té delle cinque inglese era un evento da benestanti aristocratici e borghesi, perché tutti gli altri bevevano tè a qualsiasi ora del giorno e non necessariamente di buona qualità, quanto piuttosto per tenersi su con la teina.



Il tipo di tè più appropriato per il consumo pomeridiano era il Darjeeling, proveniente dall’India, di solito servito al naturale o con limone, ma non con il latte.
L’acqua veniva fatta riscaldare in un bollitore e poi passata nella teiera, dove era fatta girare per intiepidirla tutta. Poi veniva versata di nuovo nel bollitore per essere scaldata ancora. Nel frattempo il tè in foglie veniva messo direttamente nella teiera, nella misura di un cucchiaino per ogni commensale e uno per la teiera stessa. Questa veniva poi riempita d’acqua e tenuta calda con una copertina speciale per diversi minuti.
L’infuso veniva poi filtrato sopra la tazza con un apposito colino.
Il rito del tè vittoriano prevedeva anche altre diverse regole, ad esempio il piattino doveva essere sempre appoggiato sul tavolo o sulle ginocchia e la tazza avvicinata alla bocca per bere ad ogni sorsata e poi appoggiata di nuovo sul piattino. Il tavolo che accoglieva teiera e tazze doveva ospitare anche i piattini con i biscotti secchi e al burro, il pane e marmellata, le varie pietanze salate come prosciutto e formaggio ed altre bevande quali limonata e cioccolata.

Servire cioccolata e tè con la panna era stato di gran moda in epoca georgiana per poi passare come gesto frivolo e poco elegante nel periodo Regency. Era anche poco elegante mangiare troppi biscotti o dolcetti o mettere troppo zucchero.Il servizio da tè era una delle cose da cui si giudicava una padrona di casa.
Esisteva una svariata gamma di tazze per ogni occasione della giornata: tazze da colazione, da tè pomeridiano, da caffè, da dopo cena e da tè dopo cena. Bisognava fare attenzione a quali si sceglievano e farlo con giudizio, un errore in questo campo suscitava l'indignazione delle altre ospiti. In mancanza di tazze, era considerato molto sconveniente utilizzare quelle di un altro servizio: una padrona di casa accurata non si sarebbe mai lasciata cogliere da questi fuori programma, avrebbe sempre saputo quante tazze da tè aveva a disposizione e quante ne poteva usare, invitava quindi di conseguenza gli ospiti.




Coco Chanel - Una vita per la moda

Quest’oggi, nella rubrica Vite Passate, vi porterò indietro nel tempo, quando lo stile era ancorato a eleganza, quando la moda era all’ apice della raffinatezza, quando la donna nella sua femminilità veniva associata alla grande Coco Chanel. Coco chanel è stata una grande stilista francese capace con la sua opera di rivoluzionare il concetto di femminilità e di imporsi come figura fondamentale del fashion design e della cultura popolare del XX secolo. Gabriel Chanel, in arte “Coco” nasce in un ospizio di poveri a Saumur in Francia, il 19 agosto 1883 da Henri-Albert Chanel e Jeanne DeVolle. La bambina viene concepita al di fuori del vincolo matrimoniale.In seguito alla nascita dell'ultimogenito, la famiglia trasloca a Brive-la-Gaillarde, dove Jeanne, probabilmente spossata dalle gravidanze, si ammala e muore in seguito a una febbre accompagnata da un attacco di asma. In seguito alla morte della moglie, Albert prende con sé i figli per abbandonarli nuovamente presso la residenza della propria madre, a Vichy. La donna non poté occuparsi personalmente dei bambini e Lucien e Alphonse vengono quindi mandati a lavorare presso un'azienda agricola. Le tre sorelline Chanel, invece, vengono affidate alle suore della congregazione del Sacro Cuore, presso l'orfanotrofio di Aubazine. Compiuti i diciott’anni, Julie e Gabrielle vengono mandate presso una scuola di apprendimento delle arti domestiche di Notre Dame, dove Coco apprende le prime armi del cucito. Coco inizia a lavorare come commessa a Moulin, presso il negozio di biancheria e maglieria Maison Grampayre.

            

Lì mette a punto le nozioni di cucito apprese dalle suore di Notre Dame e approfondite con zia Louise. L'incontro con il suo primo amante, Etienne de Balsan rappresenta la prima svolta della sua vita. Chanel incontra Balsan nel 1904. I due si conobbero presso uno dei caffè-concerto di Moulin e Balsan diviene il primo finanziatore di Coco. Figlio di imprenditori tessili, e ufficiale di cavalleria, Balsan invita Chanel a trasferirsi presso il suo castello a Royallieu, nel 1908. La loro storia durò sei anni. Balsan era un appassionato di cavalli e di corse, perciò Chanel si ritrova a passare le sue giornate nelle stalle dei purosangue del suo amante. Impara quindi a cavalcarli, destando l'ammirazione non solo di Balsan, ma anche dei suoi amici. Probabilmente fu proprio la vita equestre che le ispirò successivamente i pantaloni da cavallerizza e le cravattine lavorate a maglia. Nonostante Balsan non comprendesse il desiderio creativo di Chanel e la sua voglia di lavorare, la asseconda permettendole di creare cappelli presso il suo appartamento parigino, in Boulevard Malesherbes. Intorno al 1909, Coco Chanel inizia la sua carriera realizzando cappellini: in un'epoca in cui vigevano cappelli sontuosi ricoperti di piume e impossibili da indossare senza l'elaborata struttura di sostegno, chiamata Pompadur, i cappellini di paglia di Chanel, ornati da semplici fiori in raso o singole piume, destano sorpresa. Presso la residenza del suo primo amante, Chanel incontrò quello che viene considerato l'amore della sua vita, Arthur “Boy” Capel. Boy era un industriale di Newcastle, impegnato nell'esportazione del carbone. A differenza di Balsan, Capel incoraggia e finanzia il lavoro di Chanel. I due andarono a vivere insieme a Parigi, dove Capel le anticipa i soldi per permetterle di aprire la sua boutique al 21 Rue Cambon. Tuttavia Coco non sposa Boy sia a causa del divario sociale che li separava sia poichè Boy mette Chanel davanti ad una decisione:" l'amore della sua vita o il lavoro", mettendola al corrente che avrebbe sposato un'altra donna e lei inconsapevolmente sceglie il lavoro. 

                



Suzanne Orlandi fu la prima a indossare il primo vestito firmato Chanel, un abito in velluto nero ornato da un semplice colletto bianco, proprio perché Coco sosteneva che « […]il nero conteneva tutto. Anche il bianco. Sono d'una bellezza assoluta. È l'accordo perfetto» Il bianco ed il nero non sono gli unici colori utilizzati da Chanel, che impiega nei suoi abiti anche tonalità come il beige, il grigio e il blu marine. Tutto lo stile di Chanel si rifà alla vita comune delle persone che la circondavano, per dare all'abbigliamento quella praticità che la Belle Époque aveva sostituito con bustini, corsetti e impalcature per cappelli. Tuttavia, a detta dei critici e degli intenditori di moda, l'apice della sua creatività è da attribuire ai più fulgidi anni trenta, quando, pur dopo aver inventato i suoi celeberrimi e rivoluzionari "tailleur" (costituiti da giacca maschile e gonna diritta o con pantaloni, appartenuti fino a quel momento all'uomo), impose uno stile sobrio ed elegante dal timbro inconfondibile. In buona sostanza, si può dire che Chanel rimpiazza il vestiario poco pratico della belle èpoque con una moda larga e comoda. Nel 1916, ad esempio, Chanel estende l'uso del jersey (un materiale a maglia molto flessibile), dal suo uso esclusivo per i sottabiti a una grande varietà di tipi di vestiario, inclusi i vestiti semplici in grigio e blu scuro. Questa innovazione fu di così grande successo che "Coco" iniziò ad elaborare le sue celebri fantasie per i tessuti jersey. L'inserimento della maglia lavorata a mano e poi confezionata industrialmente, infatti, rimane una delle novità più sensazionali proposte da Chanel. Inoltre, le bigiotterie in perle, le lunghe catene dorate, l'assemblaggio di pietre vere con gemme false, i cristalli che hanno l'apparenza di diamanti sono accessori indispensabili dell'abbigliamento Chanel e segni riconoscibili della sua griffe. 

Esperti come quelli del sito Creativitalia.it, sostengono: "Troppo spesso si è parlato del suo celebre Tailleur quasi fosse stata una sua invenzione; in realtà Chanel produceva un vestiario di tipo tradizionale che spesso prendeva spunto dal vestiario maschile e che non diventava fuori moda con il cambiare di ogni nuova stagione. L'importanza data ai dettagli e l'uso estensivo di bigiotteria, con combinazioni rivoluzionarie di pietre vere e false, agglomerati di cristalli, e perle sono molti indicativi dello stile di Chanel. All'età di 71 anni, Chanel introdusse nuovamente il "tailleur di Chanel" che consisteva di vari pezzi: un giacca di stile cardigan, con inclusa la sua tipica catenella cucita all'interno, una gonna semplice e comoda, con una camicetta il cui tessuto era coordinato con il tessuto all'interno del tailleur. Questa volta, le gonne erano tagliate più corte e i tailleur erano fatti da un tessuto cardigan ben lavorato. Chanel é singolare nel suo rivoluzionare l'industria della moda e nell'aiutare il percorso delle donne verso l'emancipazione". La stilista aveva lavorato dal 1921 al 1970 in stretta collaborazione con i cosiddetti compositori dei profumi, Ernest Beaux e Henri Robert. Il celeberrimo Chanel N°5 venne creato nel 1921 da Ernest Beaux, e secondo le indicazioni di Coco doveva incarnare un concetto di femminilità senza tempo, unica e affascinante. Il N°5 non fu innovativo soltanto per la struttura della fragranza, ma per la novità del nome e l'essenzialità del flacone. Chanel trovava ridicoli i nomi altisonanti dei profumi dell'epoca, tanto che decise di chiamare la sua fragranza con un numero, perché corrispondeva alla quinta proposta olfattiva che le aveva fatto Ernest.
Indimenticabile poi, la famosa affermazione di Marylin che, sollecitata a confessare come e con quale abbigliamento andasse a letto, confessò: "Con due sole gocce di Chanel N.5", proiettando in questo modo, ulteriormente, il nome della stilista e del suo profumo nella storia del costume.
Il flacone poi, assolutamente all'avanguardia, è divenuto famoso per la sua struttura essenziale e il tappo tagliato come uno smeraldo. Questo "profilo" ebbe un tale successo che, dal 1959, il flacone è esposto al Museo di Arte Moderna di New York.
Coco Chanel, attraverso la moda, rappresenta il nuovo modello femminile che stava sviluppandosi nel 900: una donna dinamica,che lavorava e che non poteva più essere schiava dell'abbigliamento costrittivo della Belle Époque.
« Fino a quel momento avevamo vestito donne inutili, oziose, donne a cui le cameriere dovevano infilare le maniche; invece, avevo ormai una clientela di donne attive; una donna attiva ha bisogno di sentirsi a suo agio nel proprio vestito. Bisogna potersi rimboccare le maniche. »
Chanel diede a quella nuova donna il vestito giusto. Lo stesso famoso vestitino nero sembra proprio ispirato alla divisa delle commesse. La stilista sosteneva che:

«la vera eleganza non può prescindere dalla piena possibilità del libero movimento».

Per l'utilizzo di materiali umili e per l'ispirazione che traeva dalle figure legate alla vita lavorativa, Chanel viene rinominata la regina del genre pauvre, una «“povertà di lusso" molto moderna e snob». Paul Poiret chiamava lo stile di Coco misérbailisme de luxe. La stilista liberò le donne da corsetti e impalcature per cappelli, donando loro abiti comodi, semplici nelle linee per intraprendere una vita quotidiana dinamica.
A partire dal 1913 fino ad arrivare al 1930, Chanel portò la lunghezza delle gonne sotto il ginocchio e abbassò il punto vita, promosse l'utilizzo del jersey e dello stile alla marinara, e per finire introdusse l'utilizzo dei pantaloni femminili. Chanel crea la nuova donna del XX secolo, una donna che afferma la propria femminilità non per contrasto, bensì per paradosso, attraverso la rivisitazione di abiti maschili.

«Prendendo i vestiti maschili e dando loro una piega femminile, Coco diede anche un significante contributo al movimento femminile. […] Non si volle mai descrivere come femminista, ma la sua rivoluzione nel disegno dell'abito femminile […] coincise con l'esplosione del movimento femminista».
Lo scoppio della seconda guerra mondiale impose però un'improvvisa battuta di arresto. Coco è costretta a chiudere la sede di rue de Cambon, lasciando aperto soltanto il negozio per la vendita dei profumi. Negli anni in cui Chanel si assentò dal panorama della moda, si affacciò con le sue stravaganti proposte Christian Dior, che nel 1946
aprì il suo salone a Parigi. La risposta creativa di Dior alla guerra giunse nel 1947, con il suo New Look , che rinviava al passato, al busto della Belle Époque e alle gonne lunghe. Chanel non apprezzerà il recupero dei vecchi canoni e « di Dior dirà che “addobba delle poltrone, non veste delle donne: l'eleganza è ridurre il tutto alla più chic, costosa, raffinata povertà” ». Fu un vestito da ballo realizzato con una tenda di taffetà a segnare il suo ritorno. Nel 1953, Marie-Hélène de Rotschild, figlia di Edmond e Maggy van Zuylen, si apprestava a partecipare al ballo più importante dell'anno con un abito che Chanel definì un «orrore».
Coco si improvvisò sarta e con il tessuto di una tenda cremisi, cucito direttamente sul corpo della giovane donna, realizzò per lei un nuovo vestito. Il giorno dopo, Marie-Hélène disse a Chanel quale scalpore avesse suscitato il suo abito. Nel 1954, ormai settantunenne, Chanel riaprì la sua maison e si ripresentò al suo
pubblico con una nuova collezione, che presentò il 5 febbraio del 1954.
I 30 modelli sfilarono davanti agli occhi di una folla di compratori, fotografi e giornalisti. La prima reazione dei critici francesi fu assolutamente negativa, a causa del ricorrere dei vecchi temi. Ben presto però i consensi iniziarono ad arrivare dall'America e Chanel tornò ancora una volta di moda. Nell'anno del ritorno di Chanel, la stravaganza della Schiaparelli non era più acclamata come agli esordi, e la stilista fu costretta a chiudere.
La proposta di Chanel nell'anno della sua riapertura è il tailleur in tweed, con una gonna che riacquista un poco di lunghezza sotto il ginocchio, la giacca corta e i bottoni dorati. Nel 1955, Mademoiselle ottenne un altro successo, dando vita ad un altro intramontabile accessorio firmato Chanel: la borsetta 2.55. L'innovativo design si ispira, nella pura tradizione Chanel, al guardaroba maschile: per dare volume alla sua pochette, la stilista prese esempio dalle giacche che gli stallieri indossavano agli ippodromi. La borsamatelassé - ovvero trapuntata - presentava l'aggiunta di una tracolla, che consisteva in una catenella di metallo, intrecciata al cuoio.

« Mi sono stancata di dover portare la mia borsa in mano[…] quindi ho aggiunto sottili cinturini, cosicché possa essere usata come una borsa a tracolla. » 

Nel 1957, Christian Dior venne a mancare e lo stesso anno Coco Chanel venne invitata a Dallas per ricevere il Neiman-Marcus Award, l'Oscar della moda.
Nonostante la consacrazione ufficiale Coco «ha negato la sua importanza. Lei era — disse — “Solo una semplice sarta"».
Chanel morì il 10 gennaio 1971 in una camera dell'Hôtel Ritz, all'età di 87 anni. Chanel oltre che un’ottima stilista è stata anche una stratega da paura, una donna fatta di frasi, tra le più celebri: “ la moda passa, lo stile resta” e“ Se sei nato senza ali, non fare mai nulla per impedire loro di crescere”, la donna che portò l’abbronzatura a divenire una moda quotidiana. Ora la maison è sotto il controllo del grande Karl Lagerfeld.


                                           


                        
             

Recensione "Midnight in Paris"


Parigi.La città, forse più romantica. Parigi, la città che ci fa sognare. Chi non ha mai desiderato visitarla? Ebbene in questa pellicola, il genio Woody Allen ci trascina all’interno dell’atmosfera di Parigi, bella, lussuosa, elegante al contempo raffinata. La bellezza di questa città viene esaltata dalla fotografia color pastello(meravigliosa e indescrivibile) di D. Khondji, attraverso la quale si ha davvero la sensazione di trovarsi per le vie e i parchi di Parigi, che fa da sfordo ad una storia alquanto brillante e creativa. Ciò che contribuisce a rendere ancora più magico e frizzante il clima di questa pellicola sono senza dubbio le musiche di S. Wrembel: delle melodie dolci che ti trasmettono tranquillità e pace e al contempo sono capaci di farti venire il buon umore.
Attraverso quest’opera, che ha aperto l’ultimo festival di Cannes, Woody Allen presenta come protagonista un uomo nostalgico del passato che cerca di fuggire da questo presente banale e per nulla appagante, convinto che avrebbe vissuto molto meglio nella Parigi degli anni ’20. Da questa storia Woody Allen ha probabilmente cercato di far rivivere una cultura che oggi ormai tende ad essere ignorata. Trovandosi in viaggio a Parigi il protagonista, Gil, comincia a vagare solitario per la città, annusandone il profumo di magia e riscoprendo i suoi miti letterari. Quando una notte Gil si ritrova catapultato nella Parigi degli anni ’20, alla quale vi accede solo di mezzanotte, si ritrova a frequentare alcuni tra i più grandi artisti dell’epoca quali Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Scott e Zelda Fitzgerald; personaggi ironici che rendono il tutto molto più godibile. Di giorno Gil torna al essere il mediocre e impacciato Gil del XXI secolo, costretto a vivere questa vacanza con la fidanzata ed i suoceri, ma di notte trova tutto ciò che ha sempre desiderato (?). Ma quel che Gil sta facendo è fuggire da se stesso per ricercare nel passato quel senso di sicurezza che manca nella sua vita. Con umorismo, maestria e abilità stilistica Allen si cimenta in un film diverso dagli ultimi da lui diretti, ricco di brio, humour; un invito a vivere il presente in maniera consapevole, seppur ricco di difetti. Certo che bisogna valorizzare il passato traendo anche utili insegnamenti ma non sarebbe producente abbandonarsi completamente ad esso. In questo senso Allen esalta la bellezza della vita e dei rischi perché solo così riusciremo a ottenere ciò che desideriamo, in quanto veniamo posti di fronte a delle scelte. Proprio ciò che accade a Gil una volta conosciuta la bella e sensuale Adriana. Gil comprende che il suo senso di smarrimento è dettato, non dall’epoca storica in cui si trova a vivere bensì dalle scelte sbagliate. Bè che dire un film davvero magnifico che mi ha portato a riflettere e a non lasciarmi coinvolgere da sentimenti nostalgici verso un’epoca che sarebbe stata comunque insoddisfacente, se non vissuta con cognizione.
Che dire… una pellicola che racchiude al contempo cultura, freschezza, nostalgia il tutto incorniciato da un’ottima recitazione di Owen Wilson che con il suo sguardo vitreo e le varie balbuzie ha reso il tutto più simpatico e leggero, nonostante il reale messaggio lanciatoci dall’autore che leggero non è. 

Voto complessivo: 5/5

mercoledì 25 luglio 2012

Capigliatura nell'Antica Grecia


Anche se parliamo dell’Antica Grecia, le pettinature femminili, a quel tempo, erano così moderne da essere imitate anche dalle donne delle epoche successive fino ad arrivare ai nostri tempi.
Quando nell’era classica cominciò il processo di civilizzazione, le persone più privilegiate della società cominciarono ad interessarsi alla moda e all’aspetto esteriore. Coloro che appartenevano agli strati inferiori della popolazione cercavano di imitare queste mode.
Prima dell’ascesa della società aristocratica che avrebbe dominato presto Atene, le donne greche portavano i capelli lunghi e spessi. Alcune mettevano una Calantica, una tela intorno alla testa per creare una fascia ed evitare che i capelli cadessero sulla faccia. Altre li lasciavano crescere naturalmente, senza accessori. 
Dato che i capelli delle donne greche erano molto lunghi, cominciarono a diventare popolari le pettinature raccolte. I capelli venivano spesso tirati indietro e intrecciati in chignon o nodi. Qualcuna lasciava anche delle trecce libere sulle spalle o sul viso. Erano usati materiali e accessori di ogni tipo, tessuti anche costosi e spesso perle e mollette dorate.Anche le trecce diventarono uno stile dominante del periodo. Le donne aristocratiche avevano servi che intrecciavano loro i capelli. A volte le trecce venivano poi tirate indietro in uno chignon basso che scendeva sul collo. Altre usavano le trecce per creare disegni elaborati in cima alla testa. Anche le trecce venivano decorate con accessori. I capelli corti e ricci erano popolari tra gli uomini ma non tra le donne. Come simbolo del loro stato sociale, le schiave e a volte le serve erano obbligate a tagliarsi i capelli al mento. Il taglio corto divenne popolare per un breve periodo ma poi tornò la moda del lungo. Era però comune per le vedove tagliare i capelli al mento durante il lutto. Gli uomini greci usavano pettinarsi con un’acconciatura detta a”giardino”: ed era composta da riccioli corti che circondavano la testa, mentre i più “vezzosi”, nel VI secolo, si facevano un nodo di capelli, che veniva posizionato sulla fronte e si chiamava "crobilos", molto apprezzato anche dalle donne, che la variarono, facendo il nodo e posizionato sulla sommità della nuca e lo chiamarono "Corimbos".

sabato 21 luglio 2012

Jane Austen e Emma Morley per Anne Hathaway

Anche oggi vorrei dedicare un pò del mio tempo alla sezione riguardante il cinema. Voglio infatti parlarvi di un'attrice che mi sta molto a cuore e che seguo ormai da un pò di tempo. Si è proprio lei la bellissima Anne Hathaway. Credo che ormai la conosciate tutti.L'abbiamo vista nei panni della grande scrittrice Jane Austen, della protagonista del romanzo di Nicholls,Emma Morley, Il diavolo veste Prada, la regina Bianca di Alice in Wonderland, film di Tim Burton, in Amore e altri Rimedi e tra poco la vedremo anche ne Il Cavaliere Oscuro. Una carriera degna di tutto rispetto. Ma vediamo prima di tutto qualche notizia sulla sua vita.

Nata nel borough newyorkese di Brooklyn e cresciuta a Millburn fin dall'età di sei anni, Anne è figlia di Gerald Hathaway, un avvocato, e Kate McCauley, a sua volta attrice: proprio sua madre fu il modello che ispirò la giovane Hathaway a seguirne le orme.
Di educazione cattolica, a 11 anni accarezzava il sogno di consacrarsi come suora, ma già a 15 anni ha abbandonato il cattolicesimo quando, appreso dell'omosessualità di suo fratello, ha deciso di non voler far parte di una religione che ne condannava l'orientamento sessuale. Da allora si è sempre definita «cristiana generica», non riconoscendosi in alcuna delle confessioni cristiane esistenti.
Nel 2008, si è legata sentimentalmente al collega Adam Shulman
Il suo primo ruolo al cinema è stato nella commedia Disney, Pretty Princess, seguita dal sequel Principe azzurro cercasi. Nel 2004 è stata protagonista della fiaba grottesca Ella Enchanted- Il Magico mondo di Ella.

Solo nel 2005 la Hathaway ha cominciato a recitare nei panni di personaggi diversi da quelli delle prime commedie, come in Havoc, nel quale interpreta una ragazza di buona famiglia che decide di darsi alla frequentazione di amici pericolosi, e in I segreti di Brokeback Mountain, film che si aggiudica l'Oscar, dove interpreta Lureen, moglie di un cowboy segretamente gay. Chiuso il contratto con la Disney, ha recitato nel film che l'ha resa veramente celebre nel grande schermo: Il diavolo veste prada accanto a Meryl Streep.Nel 2007 è scelta per interpretare la scrittrice Jane Austen nel biopic Becoming Jane a fianco di Maggie Smith e James McAvoy. Nel 2010 è la Regina Bianca in Alice in Wonderland, di Tim Burton, mentre nel 2011 è uscito nelle sale italian, Amore e altri rimedi, che la vede protagonista assieme a Jake Gyllenhaal.
Nel 2012  interpreterà il ruolo di Fantine in Les Misèrables di Tom Hooper, adattazione cinematografica del noto musical di Broadway Les Misérables, in uscita il 25 gennaio 2013, che la vede a fianco di Hugh Jackman e Russel Crowe.

Becoming Jane
Becoming Jane è un film biografio diretto da Julian Jarrold, che racconta i primi anni della celebre autrice di "Orgoglio e Pregiudizio", concentrandosi maggiormente del suo rapporto con Thomas Lefroy. In questa pellicola vediamo Anne nei panni della nostra ormai cara Jane Austen. Contro l'anacronismo che vedeva figlie e mogli in condizioni di immaturtà cultura, e contro una società, fondata sull'ipocrisia e sui pregiudizi, Jane Austen rappresenta il modello di donna emancipata, libera dall'ignoranza che caratterizzava le donne dell'epoca e dotata di vasto intelleto e cultura, tale da rendela, ancora ai giorni nostri, l'eroina per eccellenza e libera dalle convenzioni che impedivano alle donne di emergere per la loro cultura.  

One Day 
Lei è Emma Morley, protagonista del film "One Day" tratto dall'omonimo romanzo di David Nicholls. Emma è una ragazza di modeste origini, ambiziosa e desiderosa di rendere il mondo migliore. Vorrebbe diventare una scrittrice ma si accomntenta di servire tavoli Ha solidi principi, crede nel vero amore. Nella prima parte del film vediamo un Emma molto sarcastica, solare ancora giovane e osservando Anne Hathaway mi accorgo che quel personaggio le si addice alla perfezione. Nella seconda parte Emma è ormai una donna, una scrittrice ancora alle prime armi ma che è già riuscita a catturare miliore di lettori. Un personaggio davvero magnifica e un'interpretazione a dir poco magnifica. 

Amori e Altri Rimedi
Maggie Murdock è una ragazza affetta dal morbo di Parkinson, dal carattere sorprendente, sveglia, chiara e diretta, intelligente e malinconica. Anche in questo film l'interpretazione della Hathaway è come sempre perfeta. Nonostante mi aspettassi di più dal film, sono comuqnue rimasta soddisfatta da Anne hathaway. 

Recensione "Vacanze Romane"


“Anna: e a mezzanotte, me ne tornerò, simile a Cenerentola, là da dove sono evasa.  
Joe: E sarà la fine di una bella favola!”  

“La principessa Anna, erede al trono di un regno immaginario, giunge a Roma dopo aver visitato altre capitali europee. La rigida etichetta che è obbligata ad osservare la esaspera ed una sera, eludendo la sorveglianza del suo seguito, esce sola per le strade. Poiché il medico, per mitigare il suo nervosismo, le ha praticato un'iniezione calmante, le accade di addormentarsi su un muretto. Qui la scopre il giornalista Joe Bradley, il quale, non riuscendo a sapere da lei il suo indirizzo, la porta a casa sua, dove la sconosciuta s'addormenta su un divano. Le notizie raccolte la mattina seguente al giornale rivelano a Bradley che la sconosciuta è la principessa Anna ed egli si appresta a ricavare dal casuale incontro un articolo sensazionale. Segue la giovane principessa nel suo vagabondaggio, mentre un amico, unitosi a loro, va scattando fotografie. La sera alcuni agenti, mobilitati dall'ambasciata, riconoscono la principessa in un dancing, ma Bradley e il suo amico riescono a riportarla a casa. Benché tra Bradley ed Anna sia fiorito, in quelle ore, un tenero sentimento, la principessa, conscia dei suoi doveri, ritorna all'ambasciata. Bradley rinuncia a pubblicare il suo servizio e il giorno dopo, durante una conferenza stampa, offre in omaggio ad Anna le fotografie scattate dall'amico.”

Un film dolcissimo! Il film che ha permesso al mondo intero di conoscere Audrey Hepburn, nei panni della giovane principessa Anna, obbligata ad osservare la rigida etichetta, che si concede una giornata libera per le vie di Roma… 
“Via Margutta n.53” è il posto in cui Joe Bradley porta la principessa Anna, dopo averla trovata in una panchina addormentata a cause di un calmante. Il giorno dopo Bradley, desideroso di ricavare dal loro incontro un articolo sensazionale accompagnato da fotografie, segue Anna in giro per Roma. Si! La nostra bellissima Roma fa da sfondo a questa vicenda, una città magica e ricca di Storia alle spalle.
Una favola dolce, gustosa e delicata. Il film nacque con pretese esclusivamente turistiche: si voleva presentare Roma come una città piena di vita e di gente allegra, il tutto condito da angoli artistici e caratteristici. Teatro adatto ad una favola moderna con tanto di principessa che fugge dal castello ed incontra per la strada il suo principe azzurro, che poi non potrà avere. Il racconto fila via spumeggiante e veloce, senza pause e pesantezze turistiche. I personaggi, pur se di fiaba, sembrano reali e la loro storia potrebbe essere la storia di tutti. Il film rimane godibile anche a distanza di molti anni e la scena finale, quella dell'addio, fa venire il groppo alla gola indipendentemente dalle volte che si è vista.
Osservando Audrey in questo film ho più volte ripensato alla bellissima Vivian Leigh e alla sua bellissima interpretazione di “Via col Vento”; c’è qualcosa, nelle loro interpretazione che le accomuna: forse la parte della principessa viziata e scontenta con i suoi innumerevoli capricci..Proprio quella scena mi ha riportato alla mente Miss Rosella O’Hara.
Insomma una pellicola che, al pari di “Via col Vento” o “colazione da Tiffany”, non tramonterà mai…Pur essendo un film girato nel 1953 rimane sempre comunque attuale.



Kathleen E. Woodiwiss- Regina indiscussa del Romance


Oggi vorrei parlarvi di una delle autrici che più amo: Kathleen E. Woodiwiss. Il primo approccio con la grande regina del romance avvenne circa due anni fa. Ero in cerca di qualcosa da leggere, così decisi di frugare tra gli scaffali in cui ripongo i libri di mia madre. Mi capitò per caso tra le mani il libro “Il lupo e la colombra” e decisi di chiedere allora a mia madre di cosa parlasse. Lei me lo consigliò caldamente, come una bellissima storia d’amore e mi disse di provere perché era convinta mi sarebbe piaciuto davvero. Invero non sbagliò. Amai alla follia qul volume e mi accinsi allora a leggere “Il fiore e la fiamma”, anch’esso di mia madre. Capì subito che la Woodiwiss era fatta per me. Anche il secondo romanzo, non potei far altro che amarlo pazzamente. Quelli della Woodiwiss non sono quei semplici romanzetti rosa da quattro soldi. Nient’affatto! Quello che la Woodiwiss scrive è un misto di storia, amore, passione, intrighi, guerre, coraggio e ideali. Le eroine dei suo romanzi rappresentano la perfezione, belle, forti, volitive, indipendenti, pronte a battersi per ciò in cui credono. Molti potrebbero dire che sono troppo perfette, che donne così non esistono. Sarà, ma in fondo sono romanzi ed è ovvio che siano stati scritti per deliziare e far le sognare i lettori, non tanto per riportare la realtà in cui viviamo. Le sue ambientazioni variano dalla Sassonia  del tempo di Gugliemo il Conquistatore, all'Inghilterra di Elisabetta I, Della guerra di Secessione americana o le colonie americane del diciannovesimo secolo. Nei suo romanzi si respira aria di passato e di storia. Le meravigliose descrizioni dei sontuosi abiti indossati dalle donne, rievocano periodi ormai lontani. Il suo stile è delizioso e le sue storie fanno sognare.

Kathleen E.Woodiwiss
Nacque nel 1939 ad Alexandria- Louisiana - U.S.A.- come Kathleen Erin Hogg, la più piccola degli otto figli di Charles Wingrove Hogg, un veterano della Prima Guerra Mondiale. Fin da piccola, Kathleen si divertiva ad inventarsi delle storie e a raccontarsele per aiutarsi a prendere sonno. All'età di dodici anni perse il padre e venne di conseguenza cresciuta dalla madre e dalle sorelle maggiori. Successivamente la Woodiwiss ricorda che questo evento e i caratteri delle donne della sua vita, influenzarono la creazione delle eroine dei suoi romanzi.
All'età di sedici anni, Kathleen incontrò il tenente della U.S. Air Force Ross Woodiwiss ad una festa e lo sposò l'anno successivo. La carriera militare del marito la portò a vivere in Giappone, dove lavorò part-time come modella per un'agenzia americana. Dopo tre anni e mezzo, la coppia si spostò. Durante questi anni, la Woodiwiss provò più volte a scrivere un romanzo, ma si bloccò per la frustrazione di dover scrivere lentamente a mano. Soltanto successivamente, dopo essersi appropriata di una macchina da scrivere elettrica che lei stessa aveva regalato al marito come regalo di Natale, cominciò a scrivere seriamente.
Il suo primo romanzo, Il fiore e la fiamma, fu respinto dagli editori di romanzi per la sua lunghezza, ma la Woodiwiss, piuttosto di accettare il suggerimento dei redattori di riscriverlo riducendolo, preferì sottoporlo agli editori di tascabili. La Avon accettò, lo stampò con una tiratura di 500.000 copie ed Il fiore e la fiamma fu rivoluzionario, proponendo un genere di romanzo storico ed epico con una eroina forte e scene di sesso molto realistiche. Il romanzo, pubblicato nel 1972 vendette più di 2 milioni e 300.000 copie nei primi quattro anni di pubblicazioni e viene accreditato come il primo romanzo del genere detto Romance in assoluto, in cui le vicende storiche fanno da sfondo ad una relazione monogama tra eroine indifese e uomini eroici che le salvano, anche se spesso sono i colpevoli del loro stato. Julia Quinn sottolinea che la Woodiwiss "ha fatto in modo che le donne desiderino leggere. Ha dato loro un'alternativa ai western o ai polizieschi. Quando stavo crescendo, vedevo mia madre e mia nonna leggere e godersi questi romanzi e quando fui sufficientemente grande da leggerli per conto mio, è come essere stata ammessa in una sorta di fratellanza tra donne." In aggiunta, la Woodiwiss ebbe anche un impatto diretto sulla carriera della romanziera LaVyrle Spencer. Quando era già famosa, infatti, la Woodiwiss lesse uno manoscritto della Spencer, che all'epoca era senza contratto, e ne rimase talmente colpita che lo inviò al suo editore della Avon, il quale pubblicò il romanzo della Spencer, The Fulfillment, e da lì iniziò la sua carriera. La Woodiwiss non è stata una scrittrice prolifica, preferendo sempre la qualità alla quantità: ha infatti pubblicato dodici romanzi best-seller con oltre ventisei milioni di copie stampate. Spesso è arrivata a metterci anche quattro o cinque anni a scrivere un romanzo, intervallando i romanzi di parecchi anni: in qualche caso ha attribuito questo fatto a problemi personali e di salute, in altri casi ha confessato di aver bisogno di staccare dalla sua attività di scrittrice. Alla Woodiwiss piaceva cavalcare e per un periodo di tempo visse in una grande casa con cinquantacinque acri, ma dopo la morte del marito, nel 1996, ritornò in Louisiana. Il 6 Luglio 2007, Kathleen Woodwiss morì di cancro all'ospedale di Princeton, all'età di 68 anni.

Nonostante questa grave perdita, invitò tutti a mantenere intatto il ricordo di Kathleen E. Woodiwiss, leggendo le sue opere, affinché possano continuare a essere conosciute, e continuare a emozionare milioni i persone. 
Di seguito l'elenco dei dodici libri pubblicati in precedenza dalla Avon e in seguito, e ancora adesso, dalla Sonzogno. 

1.Il fiore e la fiamma- 1972
2.Il lupo e la colomba- 1974
3.Shanna- 1977
4.Come cenere nel vento- 1979
5.Rosa D'inverso- 1981
6.La donna del fiume-1984
7.Magnifica Preda-1989
8.Fiori sulla neve-1992
9.Petali sull'acqua-1997
10.Cuori in tempesta-1998
11.Una stagione ardente- 2000
12.Il fiore sbocciato- 2002


Recensione "Harry Potter e il principe mezzosangue"- J.K. Rowling

Il nostro cammino è quasi giunto al termine. Ci troviamo davanti al penultimo libro della saga e mi si stringe un groppo alla gola, al solo pensiero di essere giunta alla fine. Ma per ora non voglio pensarci, dopotutto ho ancora un libro da leggere.

“Era alto, magro e molto vecchio, a giudicare dall’argento dei capelli e della barba, talmente lunghi che li teneva infilati nella cintura. Indossava abiti lunghi, un mantello color porpora che strusciava per terra e stivali dai tacchi alti con le fibbie. Dietro gli occhiali a mezzaluna aveva due occhi di un azzurro chiaro, luminosi e scintillanti, e il naso era molto lungo e ricurvo, come se fosse stato rotto almeno due volte. L’uomo si chiamava Albus Silente”. Mio caro Silente. Questo fu il nostro primo incontro. Da quando lessi quel nome, provai una certa ammirazione per questo strano personaggio dai lunghi capelli argento. Mi sono sempre aspettata tanto e non ne sono stata delusa. Eppure so che mancherà qualcosa senza Silente. In fondo, con la sua saggezza, l’eccentricità e la sua bontà d’animo, ci ha accompagnati nella lettura di ben sei libri. Un uomo dotato di grande nobiltà d’animo,e di un cuore immensamente grande e puro. La sua natura misteriosa ma al contempo rassicurante, comica e anche severa, forse anche la sua notorietà, fanno si che esso sia il mago più rispettato e più grande che io abbia mai avuto il privilegio di conoscere. Da un lato il padre che Harry non ha mai conosciuto, dall’altro la sua “guida”, che veglia incostantemente su di lui, per aiutarlo nel suo cammino. Ma lasciamo stare adesso. Silente avrebbe preferito sentire pronunciare qualche parola, intesa come <<Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre.>>.

Torniamo adesso al nostro “Harry Potter e il principe mezzosangue”. Fortunatamente non posso dire di esserne rimasta delusa poiché non mi aspettavo grandi cose da questo libro a causa sia delle opinioni lette, sia dalla visione del film. La lettura procede lenta. La trama ruota attorno all’ossessione di Harry verso Draco Malfoy, agli incontri con Silente (forse la parte più interessante della storia) e all’odio verso Severus Piton. Un po’ ripetitivo. Inoltre la storia del Principe Mezzosangue è fine a sé stessa, non incide minimamente nella storia e ciò è molto strano. Voglio dire, fossi stata nei panni dell’autrice mi sarei concentrata maggiormente sul Principe Mezzosangue, creando un vero legame col resto della storia. Fortuna che non sono l’autrice allora.
L’unica cosa che mi ha affascinata è stato il ritorno al passato di Voldemort, agli esordi della sua “carriera” di Oscuro Signore, al rapporto tra esso e la Magia Oscura. Entrare nel passato del più potente mago che sia mai esistito è stato davvero interessante. Un libro, comunque piacevole e interessante per tutti gli amanti di questa saga, anche se avrei preferito fosse uscito qualcosa di diverso dalla penna di questa splendida autrice.

Voto complessivo: 3.5/5

Recensione "Via col Vento"- Margaret Mitchell

"Me ne occuperò domani. Dopotutto, domani è un altro giorno"

Rossella O'Hara è la viziata e capricciosa ereditiera della grande piantagione di Tara, in Georgia. Ma la bellezza di una vita agiata è destinata a svanire a causa dello scoppio della Guerra Civile, che porterà miseria e povertà ovunque. Il più famoso romanzo americano narra le vicende di una donna impreparata alle tragedie della vita ma che riuscirà comunque ad adattarsi alla nuova società e soprattutto la storia impossibile con l'affascinante e spregiudicato Rhett Butler, avventuriero che lei comprenderà di amare solo troppo tardi. La storia dell’immortale Rossella O’Hara viene intessuta su uno sfondo storico complesso e contraddittorio,
ovvero quella della Guerra Civile. L'opera di Margaret Mitchell incarna tutto ciò che significava America in quei tempi, catturandone l'essenza e trasponendola con il linguaggio vivido e suggestivo della letteratura. A dipingere l'America, al contrario di quanto di possa pensare, non è unicamente lo stile di vita del Sud, la Guerra Civile, la schiavitù o gli yankees, ma sono, soprattutto, gli individui, che su questo sfondo nascono, crescono, si amano, si trasmutano.
E mentre le intere vicende si dipanano intorno al nucleo centrale di una protagonista straordinaria, Rossella O'Hara, l'intero romanzo si fonda sul carattere e sulle vite di molti altri individui diversi, da Melania Hamilton a Rhett Butler, da Ashley Wilkes all'adorabile Mammy. Ogni singolo personaggio è un ritratto dell'America e rivela un diverso aspetto di quello che un americano, anche oggi, è.
In tutta questa vicenda assume importanza anche il ruolo della donna: ciò che un uomo si aspettava da una dona era eleganza, raffinatezza, buone maniere, scarsa intelligenza, a conservare sempre il loro sorriso anche nei periodi di maggiori difficoltà. Così come dice l’autrice l’uomo poteva essere sgarbato, ubriaco o disobbediente e la donna doveva sopportare senza parlare; l'uomo poteva infuriarsi e sbraitare per una scheggia che gli pungeva il dito, mentre le donne dovevano soffocare i gemiti del loro parto per non disturbare i propri mariti. Gli uomini potevano essere assenti o rudi, mentre le donne non mancavano mai di essere gentili e disposte a perdonare. E tutto ciò è quanto la società si aspettava dalla nostra protagonista Rossella O’Hara. Ella si discostava dall’archetipo della donna dell’epoca: era dotata di spiccata intelligenza, una lingua tagliente, mascherando tutte le sue vere emozioni dietro il visino angelico di una bambina;ella preferiva di gran lunga come compagni di gioco i bambini degli schiavi e i maschietti del vicinato; la natura profonda di chi la circondava, i sentimenti altrui e l'analisi dei moti interiori dell'animo le interessavano davvero poco; egoista, vanesia ed egocentrica, Rossella non può tuttavia non rimanere nei cuori di quanti hanno letto e amato quest’opera, per la sua forza d'animo, il suo spirito battagliero, la sua caparbietà. Rossella è quella che si può definire una vera eroina, poiché si assisterà, nel corso della storia ad un radicale cambiamento, dovuto in parte ai duri periodi che seguirono la guerra e che la videro costretta ad affrontare numerose difficoltà per sopravvivere, prima di risollevarsi. E’ proprio per questo che nonostante il suo carattere a tratti detestabile, crudele e opportunista non la si può disprezzare a causa del suo immenso coraggio, della sua forza d’animo e della sua capacità di affrontare tutti i dolori e le difficoltà della vita con la sua formula “Me ne occuperò domani. Dopotutto domani è un altro giorno”.
Ecco che entra in gioco Rhett Butler, crudele, sardonico, e virile, sarà come un ponte per Rossella: è il petto vigoroso a cui appoggiarsi e piangere, le braccia forti pronte a confortarla nonostante i numerosi battibecchi, Rhett era sempre pronto a pungolarla, ascoltarla e consolarla, rimanendo sempre presente nei momenti cruciali della sua vita amandola disperatamente. Ma di questo Rossella se ne renderà conto troppo tardi. Per anni Rossella aveva cercato conforto in Rhett così come nella dolcissima Melania Hamilton, l’amica e più cara (e l’unica) che Rossella abbia mai avuto. Melania, il personaggio più grande di tutta l’opera, come dice Rhett una gran dama… così piccola, dolce, angelica, fragile e sempre pronta a far di tutto per aiutare gli altri. Il personaggio che ho amato più di tutti, che nonostante tutto ha sempre provato per Rossella un’ amicizia senza limiti: era sempre stata pronta a lottare, per lei e difenderla da tutto e tutti, pur di rovinare il rapporto con i suoi stessi parenti. Così caritatevole, Melania è uno di quei personaggi destinati a rimanere nel cuore per tutta la vita. E non nascondo di aver piante durante la sua morte (pur sapendo come sarebbe andata a finire). E di Ashley Wilkes che dire?! Non l’ho apprezzato molto. Non ha dimostrate di avere forza di spirito, e coraggio nell’affrontare i problemi presentatisi davanti. Se non fosse stato per Rossella avrebbe continuato a patire la fame, trascinando con sé anche Melania e il figlioletto Beau.
Via col vento, nonostante la mole del libro, scorre con una rapidità, che non avrei mai pensato. Fatta eccezione per i momenti nei quali l’autrice si sofferma a narrare e descrivere gli avvenimenti della guerra e le condizioni di vita a seguito di essa, che diventano un tantino più faticosi, è un libro che ti cattura pagina dopo pagina. Con un’abilità e una grande maestria Margaret Mitchell realizza un’opera destinata ad essere immortale, e a non decadere mai. Uno dei pochi libri che sia riuscito a commuovermi e farmi piangere. Da leggere assolutamente.
Editore: Mondadori
Voto complessivo: 5/5

Recensione "Peter Pan"- J.M. Barrie

Chi di noi non ha mai amato Peter Pan? Quel ragazzino un po’ elfico, pieno di sé ma così simpatico? E ciò che la sua figura rappresenta, ovvero il bisogno di sognare, perché “solo chi sogna può volare”? Il sogno di noi bambini, ovvero di rimanere sempre tali? Credo che tutti noi siamo cresciuti con l’elfo vestito di verde nato dalla Disney, così buono ma un po’ presuntuoso, a cui comunque siamo tutti affezionati. Tuttavia ho appreso che Peter Pan non è per niente come il grande Walt Disney ce lo ha presentato. Al posto di un tenero e simpatico bambino ho trovato l’egoismo, la crudeltà, la vanità e l’orgoglio: tutto ciò che c’è di più cattivo al mondo. Un bambino che pensa solo ed esclusivamente a se stesso, che dimentica tutte le persone che lo circondano, come se tutto ciò non fosse per lui di alcuna utilità. La prima descrizione dell’Isolachenoncè è davvero raccapricciante. Viene descritta come un luogo abitato da belve che divorano carne umana assumendo un aspetto minaccioso tant’è che i bambini che sono terrorizzati in quanto non rispecchia minimamente i loro sogni. 
<<Così, brutalmente, i tre piccoli Darling impauriti capirono quale differenza esiste tra un'isola nata nella fantasia e la stessa isola divenuta realtà>>E che dire del Coccodrillo che è metafora della morte che avanza sulle persone con il suo tic-tac, tic-tac…
Un libro davvero inquietante e crudo. Non una semplice favola…la storia a cui tutti eravamo abituati, ma c’è molto di più. Questo libro dovrebbe essere letto non solo dai bambini, ma anche dai grandi i quali saranno capaci di leggere oltre le righe e andare al di là della semplice favola. Un testo pieno di metafore e allusioni varie tipiche del mondo degli adulti. 

Editore: Classici Mondadori
Voto complessivo: 3.5/5

venerdì 20 luglio 2012

Recensione "Marmalade Boy"

Oh ma quanti teneri ricordi! Ho sempre conservato questo anime in un posto speciale del mio cuore, ed è lì che vi rimarrà per sempre. Ricordo ancora, come se fosse ieri il primo giorno che lo mandarono in onda… Avevo circa 8 anni e avevo appena finito di studiare. Ero così impaziente di vedere quale nuovo cartone avrebbero trasmesso, e quando iniziò la sigla…Oh si, quella sigla così dolce e romantica, da farmi venire i brividi ogni volta che l’ascolto. E’ stato ‘amore a prima vista’, mi ha rapita all’istante e da allora non ho più smesso di amarlo. il titolo è giustamente appropriato alla trama dell’anime. La storia infatti si sviluppa attorno alle vicende sentimentali di alcuni ragazzi. Al centro della storia spiccano i due protagonisti, la simpatica Miki, così divertente, testarda, gioiosa e l’affascinante Yuri. I due ragazzi sono costretti a vivere sotto lo stesso tetto, ma presto scopriranno di essere innamorati l’uno dell’altra. Ma…quanto può durare? Nonostante gli alti e bassi che si verificano frequentemente in una coppia, Miki e Yuri sono destinati a vivere la loro storia ricca d’amore e felicità. Ma come non amare questo anime. E’ talmente dolce e romantico, che è difficile non rimanervi incantati. Tutto è poi contornato dalle musiche di Mariko Kouda, che ha composto i brani di sottofondo, tra cui la bellissima Moment la quale fa da sottofondo ai momenti clou della storia. 
Per quanto riguarda il character design, ammiro molto il talento di Wataru Yoshizumi, il quale ha la capacità di rendere vivi i suoi personaggi; nei loro volti infatti traspaiono tutte le emozioni che provano, sono così espressivi da far scorgere ogni loro stato d’animo. Non nego, tuttavia, che presentano qualche imperfezione, ma passa in secondo piano.
Differentemente dal resto, il doppiaggio italiano presenta qualche difetto. Molti tra i dialoghi sono stati stravolti dal timore che i ‘bambini’ che avrebbero visto l’anime non avrebbero capito: ma dai non credo proprio che i ‘bambini’ siano così stupidi da non comprendere un “Ti amo” appunto sostituito con un “Ti voglio bene”, credo sia un insulto all’intelligenza dei bambini.
L’adattamento italiano conta 63 episodi rispetto ai 75 originali. Infatti l’anima è stato in parte censurato e sono stati eliminati circa 152 minuti del film che si sommano in 13 puntate. Il problema è proprio questa mancanza che fa si che «La serie in Italia è da considerarsi mai trasmessa, visto il trattamento del materiale che consente di parlare per Piccoli problemi di cuore di una serie totalmente diversa, ottenuta partendo dal materiale originario».
E’ tuttavia impossibile considerare l’anime mai trasmesso, almeno per chi come me è rimasto rapito dalla bellezza della serie. Anche il finale italiano non corrisponde a quello originale, in quanto a causa dell’interesse verso un’altra serie hanno eliminato totalmente gli ultimi episodi della serie.
Nonostante queste mancanze Marmalade Boy rimane, tuttavia, una serie fresca, dolce ed emozionante. Non si può non affezionarsi ai personaggi, poiché in ognuno di essi c’è parte del nostro essere.